martedì 4 giugno 2013

giorni d'estate senza fine

 Ebbra d'aria son io,
intossicata di rugiada,
barcollo
in giorni d'estate senza fine...
(Emily Dickinson)

la polenta
Tra i ricordi più belli dell'adolescenza restano le scampagnate nei boschi per una bella polenta all'aperto in piena  estate e la "lessada" a fine estate .
La polenta si faceva in un paiolo posto su tre sassi in qualche radura e con qualche ruscello a breve distanza, il companatico: formaggio naturalissimo della latteria di paese e dei deliziosi salami con carne mista di maiale e vacca, i salami erano sapientemente speziati e ogni clan familiare aveva  la sua ricetta tenuta gelosamente segreta  per la precisa e pignola  quantità del sale e delle spezie da usare, la carne era sempre di primissima qualità, perché i bovini si nutrivano esclusivamente di fieno dei prati di montagna e i maiali erano alimentati col siero di latte rimasto dopo la lavorazione del burro e del formaggio nella latteria, poi patate bollite e mischiate alla crusca rimasta dopo la macinazione del granturco per la polenta, o altri cereali coltivati localmente, inoltre scarti di verdure e avanzi di cucina, assolutamente sconosciuti mangimi ed integratori, a parte il siero anche per  le galline si usava un pastone simile, inoltre erano libere di alimentarsi nei prati e le uova erano straordinariamente gustose e sempre di giornata.
Per cuocere  la polenta bisognava recuperare la legna per tenere un bel fuoco che doveva durare almeno un'ora, allo scopo si usavano principalmente i rami secchi previdentemente  raccolti  lungo il percorso per arrivare al sito prescelto, col poetico  nome di " rami del vento" erano conosciuti questi rami di larice,
 
la partenza dal villaggio

 eccezionali per un bel fuoco e per le braci sulle quali capitava a volte di arrostire qualche salsiccia; la località che io ed i miei amici preferivamo era una radura  pianeggiante in prossimità di un ruscello nel quale scorreva un'acqua  straordinariamente fresca e buona, rinomata in tutto il paese e conosciuta come "l'acqua della Carot"; divagando: anni dopo, nel periodo milanese della mia vita di emigrante, la domenica pomeriggio era abitudine incontrarsi nell'atrio della Stazione Centrale con i molti paesani che lavoravano in quella grande città, gli uomini nelle fabbriche e le donne come domestiche di famiglie benestanti, ( "serve", si diceva allora), in quegli incontri quasi sempre c'era qualcuno che diceva: - Cosa darei per un sorso dell'acqua della Carot -, evidentemente quell'acqua evocava feschezza, gusto, boschi, profumi, sapori e nostalgia.
Dopo la polenta era il momento dell'anguria tenuta a fresco nel ruscello e poi qualche sorso di  liquore  che toglieva tante inibizioni e aumentava l'allegria
La "lessada" di fine estate era invece fatta con patate lesse, ( da cui il nome lessada), i soliti formaggio e salame, una enorme terrina di radicchio condito tagliato a striscioline, le pannocchie di granoturco abbrustolite sulle braci, oppure lessate anche quelle e frutta, tutto sempre accompagnato da vino
 
salute!


 e liquori, tante risate e tanta amicizia.
Queste scampagnate erano anche l'occasione per incontrare degli amici, ( e ancor meglio amiche), figli e figlie di emigranti che risiedevano in città lontane che solo l'estate ritornavano al paese ospiti dei nonni per le vacanze; per loro erano delle avventure memorabili nella completa libertà
nella radura

 a cui raramente avevano accesso in città e noi zotici montanari ci sentivamo importanti e pure privilegiati anche se magari portavamo degli abiti lisi e scombinati ed eravamo pieni di pregiudizi, il nostro mondo ci sembrava molto ristretto e sapevamo che molto  presto sarebbe stato il momento di lasciarlo per un posto di lavoro in qualche città lontana, sarebbero poi arrivati gli anni del benessere, però si sarebbe persa quella comunione con gli amici, quella condivisione di tante piccole cose e tanti segreti, 
 
la famosa acqua della Carot

però l'acqua della Carot, tante volte desiderata e che dopo diversi anni l'estate scorsa  sono andato a cercare era ormai sparita nascosta dai rovi e infiltrata tra i sassi.
Ora che la giovinezza è declinata
e mi sono incagliato tra gli scogli,
posso sentire la musica profonda
dell'intero universo...
 (Rabindranath Tagore)

8 commenti:

ventisqueras,wordpresse,com ha detto...

si entra in punta di piedi in un mondo sfuocato, con la lentezza con cui si assaporano le vecchie foto, eppure sembra tutto da poco successo come se le immagini dovessero a un tratto prendere vivacità e colore...
davvero incantata
un sorrisi

Pierpaolo ha detto...

Momenti genuini e rari, saporiti a tal punto che la mia insipida modernità non riesce nemmeno a sentirne l'odore...

Gibran ha detto...

CHE NOSTALGIA MIO CARO AMICO,BASTAVA COSI' POCO PER ESSERE FELICI.
CIAO SILENO UN ABBRACCIO.

ale ha detto...

le parole della Dickinson e le tue foto! caro Sileno che spettacolo leggere le TUE parole, i tuoi ricordi!!! anche nel mio paese di montagna molte donne hanno trascorso la vita "a servizio" a Milano!
Grazie alla mia mamma la polenta rimane la regina della nostra tavola, intorno ad essa girano, rivivono, si riaccendono i nostri ricordi, il nostro presente e ...anche il futuro :-))) visto che i nostri ragazzi amano riempirsi il piatto di fette di polenta e condividere con la nonna e tutti noi serate "normali" così da diventare speciali.
uno strucòn! ale

Adriano Maini ha detto...

Magistrale racconto di una cultura popolare, di cui nella mia modesta esperienza ho solo avvertito pallidi echi. Impressionante che anche in questo caso tu possa usufruire di un corredo fotografico di assoluto rilievo.

riri ha detto...

Bel post, sai che leggo con interesse, mi piace come racconti..
La polenta ho imparato a farla a Torino da un'amica torinese e mi piace un sacco.
Un caro saluto.

rosso vermiglio ha detto...

Racconti preziosi i tuoi sileno. Accarezzano il cuore queste memorie :) un caro saluto

Patzy ha detto...

Non ti ho detto che il tuo é un blog pieno di dolce nostalgia! Hai creato un bellissimo spazio di ricordi, Sileno. Abbraccio