venerdì 31 maggio 2013

segni

Nelle mie escursioni incontro di frequente i segni della devozione popolare; anche da non credente incontrare  questi segni mi allietta e penso a tanti volti di persone umili ormai scomparse molti anni fa, ma che rivedo ancora chini davanti a quel simbolo assorti in una preghiera e a loro va il mio pensiero.
la madonnina dei silenzi


ciocco 




pastorelle veggenti nel 1937 in trance



 
S. Antonio da Padova in una grotta- ricovero sul fronte  della Grande Guerra


 
i resti di una vecchissima croce nei boschi

Un pensiero di Georg Cristoph Lichtenberg:
"I santi di legno scolpito hanno certo fatto più per il mondo che quelli in carne e ossa."  

sabato 25 maggio 2013

aria di neve





La sera verso il crepuscolo scrutando le montagne c'erano già le prime avvisaglie che il tempo stava mutando, delle nuvole turbinose che si arrotolavano attorno alle cime indicavano i primi fiocchi di neve in arrivo.
Dopo il crepuscolo era mio compito di bambino andare con un apposito bidoncino da una signora che teneva una mucca a prendere un litro di latte per la colazione del mattino successivo e se capitava di incontrare qualche   persona si salutava con un : "C'è aria di neve questa sera" e un veloce commento sul tempo, poi di  quelle uscite serali  ricordo anche l'angoscia, perché la maestra ci raccontava che col buio nelle sere d'inverno negli Abruzzi i lupi arrivavano  nei paesi, io , quando mia madre mi diceva che era ora di andare dalla Lina a prendere il latte, obbiettavo che avevo paura dei lupi e mia madre mi tranquillizzava dicendomi che i lupi erano molto distanti e non venivano dalle nostre parti, ma io ribadivo che potevano anche sbagliare strada e io trovarmeli avanti, sicuro è che in quella mezzora la paura era tanta e anche il sollievo quando incontravo qualcuno, pensando che poteva proteggermi dai lupi.
Arrivato a casa una veloce rinfrescata in una bacinella, ( in casa non c'era ancora l'acqua corrente e anche il gabinetto era un casotto di legno in un angolo dell'orto),  poi a letto in una camera gelida e ricordo bene il vaso da notte bianco smaltato sotto il letto.
A volte il sonno tardava e allora sentivo quando ritornavano i minatori alla fine della "sciolta" pomeridiana dalla miniera a fondovalle, ( la "sciolta"  termine di origine tedesca era il turno di lavoro in miniera),
Quando arrivavano i minatori si sentivano i passi lenti e pesanti e dalle fessure delle imposte penetrava la vivida luce delle lampade a carburo delle quali tutti erano muniti, poi un saluto a bassa voce infine il tonfo di una porta che si richiudeva e il silenzio e il buio della notte.
La mattina la sveglia era data dalle campane ancora col buio, poi sentivo una signora  che scendeva  velocemente lungo il sentiero per andare alla stalla, la signora portava gli zoccoli di legno con dei ramponi antighiaccio inchiodati sotto il tacco e si sentiva un rumore caratteristico fatto dai ramponi che graffiavano la superficie e poi penetravano nella neve, allora capivo che era nevicato.
Questa signora era famosa perché lei e la sorella volevano sempre essere le prime nel lavoro, le prime ad andare alla stalla, le prime a portare il latte in latteria, allora,  raccontavano al villaggio, che quando erano ancora ragazze, a volte la gioventù del paesello attendeva a tarda sera che si fossero coricate e quando erano certi che le sorelle  dormissero pesante del primo sonno, passavano sotto le loro finestre rumoreggiando con gli zoccoli e i bidoni del latte, gli orologi nelle case in quegli anni fra le due guerre, erano inesistenti e non c'era nemmeno luce elettrica, le due sorelle sentendo il rumore di gente che andava alla stalla prima di loro, si alzano rapidissime e correvano a mungere le vacche inconsapevoli di essersi appena addormentate e ancora qualche decennio dopo in paese si rideva alle loro spalle.
Arrivava il momento di abbandonare il calduccio del letto, dalle fessure delle imposte il primo baluginare del giorno lasciava intendere che la luce soffusa  e i rumori ovattati erano il segno che la neve era arrivata,


e  il preludio di un pomeriggio dopo  scuola a scendere i pendii con le slitte e tanta allegria; non si pensava al rientro la sera con i piedi bagnati per la neve che si era infilata  e poi sciolta negli stivali, le mani ghiacciate, intorpidite e screpolate, ma che grande piacere al caldo della cucina economica, magari seduti con le gambe infilate  nel forno della cucina per riattivare la circolazione, pensando alle slittate del giorno dopo.




lunedì 20 maggio 2013

sera all'osteria


Nell'adolescenza a causa del trasferimento in città, per motivi di lavoro dei miei vecchi, io ho dovuto trascorrere un periodo  da solo al paese per continuare  gli ultimi mesi delll'anno scolastico nella scuola che già frequentavo.
Non era un problema per me preparami qualche pasto, per le spese avevo a disposizione "il libretto" sul quale il negoziante segnava la spesa, che a fine mese mio padre provvedeva a saldare, sapevo che poche cose potevo permettermi: il pane, la pasta,  lo zucchero, qualche tavoletta di surrogato di cioccolato, un po' di formaggio e poco altro.
Dopo la parca cena, solitamente un minestrone con pezzetti di  formaggio mescolati dentro, la solitudine si faceva sentire, gli amici restavano in casa e così in mancanza di alternative anch'io, quando avevo a disposizione qualche soldo racimolato per qualche lavoretto fatto,  mi infilavo in qualche osteria come molti degli anziani rimasti soli.
In paese c'erano quattro o cinque osterie, ognuna frequentata solitamente da clienti abituali.
Io ne avevo due in simpatia e dove non mi sentivo a disagio, in una si giocava molto  alle carte, era la più moderna con i tavolini di fòrmica e la televisione, mi divertivo quando giocava un signore che era sempre il bersaglio degli altri per i suoi errori di gioco e alla fine della mano, veniva immancabilmente rimbrottato dal suo compagno per qualche svista, a volte, un po' sadicamente quando le acque erano calme, mi intromettevo per agitare gli animi e: "Ma Mario, perché non hai giocato il fante?"
E immediatamente si accendeva il fuoco,  perché perdere la partita significava pagare anche la consumazione degli avversari e un giocatore scarso era un debito aperto.
L'osteria che frequentavo con maggior piacere era invece molto più calma, una stanza con quattro o cinque rudimentali e traballanti tavoli, bruniti dal fumo delle migliaia di sigarette fumate e della stufa a legna in un angolo, tutti bruciacchiati per i mozziconi posati sul bordo e lucidi per intere generazioni che vi hanno strofinato i gomiti.
Un armadio forniva il ripiano per i bicchieri, qualche bottiglione o fiasco  di vino supereconomico, qualche bottiglia di liquore o di bibite.
Un tavolo fungeva da bancone e nell'angolo opposto alla stufa, troneggiava un mobile grammofono per dischi a 78 giri con le puntine da sostituire ogni disco, ormai in silenzio da una decina di anni dopo il cambio di gestione; precedentemente gestiva un'anziana signora e si ballava al suono del grammofono attività poi cessata per l'ostilità del parroco: il ballo stimolava le tempeste ormonali, poi magari si commetteva anche qualche atto impuro...
Quando si entrava nel locale, una cortina di fumo di sigarette scadenti come le Alfa o le Nazionali velava la vista; i cinque o sei abituali avventori sedevano in prossimità del fuoco, quasi sempre acceso, sul tavolo avanti a loro il bicchiere di vino, normalmente il rosso, che costava 25 lire e la sigaretta puzzolente perennemente accesa.



A volte al tavolino più discosto col bicchiere avanti, sedeva un signore  che in gioventù aveva giocato qualche partita in una famosissima squadra di calcio; era  stato un pittore di qualche abilità, poi, probabilmente per problemi familiari si era lasciato andare ed era naufragato nel vino.
 Nei momenti di sobrietà  amava molto parlare con i ragazzi della sua vita e della Grande Guerra nella quale aveva combattuto, una gelida mattina d'inverno lo trovarono assiderato in un cumulo di neve al lato della strada.
L'oste era famoso per le sue battute spiritose e folgoranti, zoppicava per una ferita di guerra, gli altri clienti erano persone anziane, tutti con le braghe di velluto consumate  dal grande uso, qualcuno sempre col capello in testa, la giacca sformata che aveva conosciuto tempi migliori oppure un golf quasi sempre di color  marron e liso.
Io mi ordinavo un bicchiere di bibita, a scelta fra la "spuma" e l'aranciata e mi sedevo ad ascoltare i racconti intrecciati di tante vite di emigranti seggiolai o minatori e poi i racconti di guerra, tutti erani reduci della prima o della seconda guerra, l'oste dopo essere stato ferito alla gamba, non ricordo su quale fronte, era stato trasferito come mitragliere nell'antiaerea a Genova, gli chiedevamo quannti aerei nemici avesse abbattuto e lui, sinceramente diceva forse uno, ma non ne sono certo, invece a sentire la propaganda -raccontava- secondo loro saremmo potuti andare in America camminando sulle eliche degli aerei abbattuti e allora giù a ridere pensando al mare di eliche.
Dagli altri avventori venivano i racconti di una vita misera di emigranti, vita nelle miniere di tutto il mondo per la grande professionalità acquisita fin dalla gioventù  nella miniera di fondovalle e poi una vecchiaia tormentata dalla " pussiera" come veniva chiamata la silicosi.


Quasi tutti avevano lavorato come seggiolai ambulanti, un lavoro che si tramandava da padre in figlio  almeno  da due secoli,  particolarmente nei tre paesi che contornavano la  mia montagna,
Anche quella era una vita di grande disagio, già verso gli otto anni di età i bambini venivano affidati a qualche seggiolaio

 e via per il  mondo a dormire se fortunati in qualche fienile, altrimenti per terra sotto il carretto degli attrezzi, tanto freddo, tanta fame, tante umiliazioni e tanta nostalgia, però anche se laceri e sporchi tanta dignità; la dignità era una componente importantissima nel mondo dei seggiolai che si facevano vanto di essere sempre onesti e sempre a testa alta, poi magari quando qualcuno li feriva, si vendicavano mettendo delle lische di aringa o qualche lembo di mortadella fra la paglia delle sedie che stavano impagliando, così in seguito  i gatti della cascina avrebbero provveduto a distruggere l'impagliatura per recuperare i miseri bocconi e giustizia sarebbe stata fatta.
Poi il ritorno a casa, il buio regnava sovrano e nelle notti serene senza luna,  uno splendido cielo illuminato dalla luce delle stelle, l'indimenticabile Via Lattea che da molti anni non riesco più a scorgere offuscata dall'inqiunamento luminoso dei centri abitati ed anche dalle polveri di milioni di auto, ai tempi di questa narrazione era arrivata l'illuminazione pubblica in paese: Qualche rara lampadina da 25 watt agli angoli di qualche strada principale, con la luce tanto fioca che smorzava appena l'ombra per pochi metri, anche dalle finestre delle stalle filtrava un  po' di luce; nelle stalle la luce era sempre accesa, poiché veniva pagata a punto luce e non a consumo, al posto del contatore un apparecchio che si chiamava limitatore lasciava passare solo la corrente necessaria  per accendere  una misera lampadina che poi non veniva mai spenta.
Ricordo i profumi penetranti a seconda delle stagioni, dall'odore resinoso del fumo della legna per il riscaldamento l'inverno, allo stallatico a primavera, quando veniva rimestato e portato nei prati e nei campi per la concimazione, forse ci eravamo assuefatti, ma non era un cattivo odore, poi l'estate  profumo dell'erba appena tagliata

 e passando accanto ai fienili il profumo del fieno che fermenta, quello per me è il profumo più intenso ed inebriante che esista: E' il profumo dell'estate, della libertà,  della natura, della vita..


giovedì 16 maggio 2013

con la lanterna accesa

...conduttore per finta
con la lanterna accesa dalla pioggia
di treni sonnambuli che violentavano l’ombra
desiderabile di ogni alba...

(Victor Rodriguez Nunez)

giovedì 9 maggio 2013

l'ora che volge al disìo

"Era già l'ora che volge il disìo ai navicanti, 
 e 'ntenerisce il core".      
tramonto sul Po dal treno






                                    tramonto sul Tirreno



                                         tramonto sull'Adriatico

domenica 5 maggio 2013

e i mesi corrono

gennaio

e quando dal nevoso aere inquiete tenebre ...
                                                                                        (U. Foscolo)
febbraio 
tu solingo augellin, venuto a sera,
del viver che daranno a te le stelle,
certo del tuo costume
non ti dorrai che di natura è frutto...
                                                                     (G.Leopardi) 
marzo 
 primavera d'intorno, brilla nell'aria...
                                                                   (G.Leopardi) 
  
aprile
 dalle cime dei monti
si libera azzurra, fredda l'acqua...
                                                            (Alceo) 
  
maggio 
 
alle selve, alle foglie dei boschi è dolce primavera...
                                                                 (Virgilio)