lunedì 20 maggio 2013

sera all'osteria


Nell'adolescenza a causa del trasferimento in città, per motivi di lavoro dei miei vecchi, io ho dovuto trascorrere un periodo  da solo al paese per continuare  gli ultimi mesi delll'anno scolastico nella scuola che già frequentavo.
Non era un problema per me preparami qualche pasto, per le spese avevo a disposizione "il libretto" sul quale il negoziante segnava la spesa, che a fine mese mio padre provvedeva a saldare, sapevo che poche cose potevo permettermi: il pane, la pasta,  lo zucchero, qualche tavoletta di surrogato di cioccolato, un po' di formaggio e poco altro.
Dopo la parca cena, solitamente un minestrone con pezzetti di  formaggio mescolati dentro, la solitudine si faceva sentire, gli amici restavano in casa e così in mancanza di alternative anch'io, quando avevo a disposizione qualche soldo racimolato per qualche lavoretto fatto,  mi infilavo in qualche osteria come molti degli anziani rimasti soli.
In paese c'erano quattro o cinque osterie, ognuna frequentata solitamente da clienti abituali.
Io ne avevo due in simpatia e dove non mi sentivo a disagio, in una si giocava molto  alle carte, era la più moderna con i tavolini di fòrmica e la televisione, mi divertivo quando giocava un signore che era sempre il bersaglio degli altri per i suoi errori di gioco e alla fine della mano, veniva immancabilmente rimbrottato dal suo compagno per qualche svista, a volte, un po' sadicamente quando le acque erano calme, mi intromettevo per agitare gli animi e: "Ma Mario, perché non hai giocato il fante?"
E immediatamente si accendeva il fuoco,  perché perdere la partita significava pagare anche la consumazione degli avversari e un giocatore scarso era un debito aperto.
L'osteria che frequentavo con maggior piacere era invece molto più calma, una stanza con quattro o cinque rudimentali e traballanti tavoli, bruniti dal fumo delle migliaia di sigarette fumate e della stufa a legna in un angolo, tutti bruciacchiati per i mozziconi posati sul bordo e lucidi per intere generazioni che vi hanno strofinato i gomiti.
Un armadio forniva il ripiano per i bicchieri, qualche bottiglione o fiasco  di vino supereconomico, qualche bottiglia di liquore o di bibite.
Un tavolo fungeva da bancone e nell'angolo opposto alla stufa, troneggiava un mobile grammofono per dischi a 78 giri con le puntine da sostituire ogni disco, ormai in silenzio da una decina di anni dopo il cambio di gestione; precedentemente gestiva un'anziana signora e si ballava al suono del grammofono attività poi cessata per l'ostilità del parroco: il ballo stimolava le tempeste ormonali, poi magari si commetteva anche qualche atto impuro...
Quando si entrava nel locale, una cortina di fumo di sigarette scadenti come le Alfa o le Nazionali velava la vista; i cinque o sei abituali avventori sedevano in prossimità del fuoco, quasi sempre acceso, sul tavolo avanti a loro il bicchiere di vino, normalmente il rosso, che costava 25 lire e la sigaretta puzzolente perennemente accesa.



A volte al tavolino più discosto col bicchiere avanti, sedeva un signore  che in gioventù aveva giocato qualche partita in una famosissima squadra di calcio; era  stato un pittore di qualche abilità, poi, probabilmente per problemi familiari si era lasciato andare ed era naufragato nel vino.
 Nei momenti di sobrietà  amava molto parlare con i ragazzi della sua vita e della Grande Guerra nella quale aveva combattuto, una gelida mattina d'inverno lo trovarono assiderato in un cumulo di neve al lato della strada.
L'oste era famoso per le sue battute spiritose e folgoranti, zoppicava per una ferita di guerra, gli altri clienti erano persone anziane, tutti con le braghe di velluto consumate  dal grande uso, qualcuno sempre col capello in testa, la giacca sformata che aveva conosciuto tempi migliori oppure un golf quasi sempre di color  marron e liso.
Io mi ordinavo un bicchiere di bibita, a scelta fra la "spuma" e l'aranciata e mi sedevo ad ascoltare i racconti intrecciati di tante vite di emigranti seggiolai o minatori e poi i racconti di guerra, tutti erani reduci della prima o della seconda guerra, l'oste dopo essere stato ferito alla gamba, non ricordo su quale fronte, era stato trasferito come mitragliere nell'antiaerea a Genova, gli chiedevamo quannti aerei nemici avesse abbattuto e lui, sinceramente diceva forse uno, ma non ne sono certo, invece a sentire la propaganda -raccontava- secondo loro saremmo potuti andare in America camminando sulle eliche degli aerei abbattuti e allora giù a ridere pensando al mare di eliche.
Dagli altri avventori venivano i racconti di una vita misera di emigranti, vita nelle miniere di tutto il mondo per la grande professionalità acquisita fin dalla gioventù  nella miniera di fondovalle e poi una vecchiaia tormentata dalla " pussiera" come veniva chiamata la silicosi.


Quasi tutti avevano lavorato come seggiolai ambulanti, un lavoro che si tramandava da padre in figlio  almeno  da due secoli,  particolarmente nei tre paesi che contornavano la  mia montagna,
Anche quella era una vita di grande disagio, già verso gli otto anni di età i bambini venivano affidati a qualche seggiolaio

 e via per il  mondo a dormire se fortunati in qualche fienile, altrimenti per terra sotto il carretto degli attrezzi, tanto freddo, tanta fame, tante umiliazioni e tanta nostalgia, però anche se laceri e sporchi tanta dignità; la dignità era una componente importantissima nel mondo dei seggiolai che si facevano vanto di essere sempre onesti e sempre a testa alta, poi magari quando qualcuno li feriva, si vendicavano mettendo delle lische di aringa o qualche lembo di mortadella fra la paglia delle sedie che stavano impagliando, così in seguito  i gatti della cascina avrebbero provveduto a distruggere l'impagliatura per recuperare i miseri bocconi e giustizia sarebbe stata fatta.
Poi il ritorno a casa, il buio regnava sovrano e nelle notti serene senza luna,  uno splendido cielo illuminato dalla luce delle stelle, l'indimenticabile Via Lattea che da molti anni non riesco più a scorgere offuscata dall'inqiunamento luminoso dei centri abitati ed anche dalle polveri di milioni di auto, ai tempi di questa narrazione era arrivata l'illuminazione pubblica in paese: Qualche rara lampadina da 25 watt agli angoli di qualche strada principale, con la luce tanto fioca che smorzava appena l'ombra per pochi metri, anche dalle finestre delle stalle filtrava un  po' di luce; nelle stalle la luce era sempre accesa, poiché veniva pagata a punto luce e non a consumo, al posto del contatore un apparecchio che si chiamava limitatore lasciava passare solo la corrente necessaria  per accendere  una misera lampadina che poi non veniva mai spenta.
Ricordo i profumi penetranti a seconda delle stagioni, dall'odore resinoso del fumo della legna per il riscaldamento l'inverno, allo stallatico a primavera, quando veniva rimestato e portato nei prati e nei campi per la concimazione, forse ci eravamo assuefatti, ma non era un cattivo odore, poi l'estate  profumo dell'erba appena tagliata

 e passando accanto ai fienili il profumo del fieno che fermenta, quello per me è il profumo più intenso ed inebriante che esista: E' il profumo dell'estate, della libertà,  della natura, della vita..


11 commenti:

olgited ha detto...

Bravo Sileno,hai descritto molto bene la vita di quei tempi!Olga

ale ha detto...

speciale! un ricordo davvero speciale. Ale

Patzy ha detto...

Bravo, Sileno! Una meravigliosa storia! Non so se sia una storia che hai visuto proprio tu, oppure sia una storia prodotta della tua imaginazione, ma l´hai descritto con una grande passione e con le descrizione perfette d´odori, suoni, sapori, che sembra fosse davvero la tua storia. Congratulazioni! E abbraccio!

Anonimo ha detto...

la fragranza del pane nella tua lettura, cià che di bello e semplice allieta il cuore
grazie
un sorriso
Ventis


ventisqueras.wordpress.com

speradisole ha detto...

Quando bastava poco per continuare a vivere.
Credo che nel cuore di queste persone ci fosse la pace, la quiete dei pensieri e la gioia di vivere sempre e comunque.
Non c'era la disperazione di oggi.
Ciao. Un abbraccio.

Gibran ha detto...

HO TANTI RICORDI DI QUEL PERIODO,ANCHE SE SFOGATI.MA IN PARTICOLARE GLI ARROTINI I VENDITORI AMBULANTI E SEGGIOLAI,DOVEVANO FARE KM AL GIORNO PER ARRIVARE ALLE SPARSE NEGLI APPENNINI.DOVE ABITAVO C'ERA SOLO UN EMPORIO VENDEVA TUTTO ANCHE LE CARAMELLE CHE NON POTEVO COMPRARMI E LA TITOLARE QUALCHE VOLTA GENTILMENTE ME NE DAVA UNA,ERA UNA FESTA.
QUESTE CASE NON SI DIMENTICANO.
CIAO SILENO GRAZIE UN ABBRACCIO.

Pierpaolo ha detto...

Un'altra perla... Leggo i tuoi ricordi sempre affascinato... Grazie e a presto Sileno

Adriano Maini ha detto...

Un racconto sospeso tra un'aura alla "Novecento" di Bertolucci e una grinta alla Brecht!

Paola1961 ha detto...

Mi hai ricordato un vecchio impagliatore di sedie ( lavoro che ormai da noi è pressoché scomparso ) che abitava al mio paese quando ero bambina. Veniva se non ricordo male da Agordo.
Mi piacciono questi racconti del tempo andato.

Sileno ha detto...

@Paola 61 grazie per la visita

Anonimo ha detto...

Aunque la traducción de Google no es muy buena, me ha gustado mucho el texto que has escrito. Sobre las viejas fotos, me encanta la penúltima, en la que dos mayores están trabajando el heno.
Un saludo
W.