mercoledì 29 febbraio 2012

il tarassaco









Riprendo con qualche scheda di botanica relativa alle erbe officinali: Il tarassaco o  dente di leone o radicchio di campo.


Credo che tutti conoscano questa umile pianticella che a primavera copre i prati di montagna con un mantello di fiori color oro.


E' una pianticella preziosa dal punto di vista alimentare e per i benefici che apporta al corpo umano, dal favorire la digestione a depurativa del fegato, del pancreas, dell'intestino; è diuretica (da cui il nome popolare di "piscialetto"), antiscorbuto, cura le infiammazioni, le ulcerazioni, le malattie della pelle, ( dermatosi, eczemi, irritazioni).


E' una pianta diffusa in tutto il mondo, ma secondo Maurice Mességué era ignorata dagli antichi greci e dai romani, si ritiene pertanto che sia stata introdotta nel corso delle invasioni barbariche.


Per gli usi alimentari la piantina va raccolta all'inizio della primavera, conficcando la punta di un coltello nel terreno e ruotando per tagliare la radice grossa come un dito, poi dopo un' accuratissima pulizia per liberarla dalle foglie secche o marce, dalla terra e dai residui di erba, si può condire come una normale insalata; è considerata una prelibatezza condita con sale, pepe, aceto e lardo tagliato a dadini e fuso.


A me piaceva come la condiva mia nonna, con sale, pepe, aceto e burro fuso , forse è per il ricordo dei sapori della fanciullezza, ma io l' apprezzo particolarmente condita in questo modo.


Le piantine più deliziose e croccanti sono quelle che si raccolgono ne campi in montagna a primavera avanzata





subito dopo lo scioglimento della neve, altrettanto deliziose pure quelle cresciute sotto le foglie secche, oppure nei cumuli di terra sollevati dalle talpe, allora si trovano delle belle piante bianche, carnose e tenerissime.


Quando la pianta di tarassaco diventa adulta, allora diventa dura  ed molto amara, con dei bottoni da cui poi cresceranno i fiori, in quello stadio non è più buona condita insalata, ma si può utilizzare cotta come gli spinaci o le biete.


I bottoni (boccioli) è possibile conservarli sotto aceto come i capperi che possono pure sostituire.


Il lattice bianco che fuoriesce spezzando il gambo, veniva usato per eliminare le verruche, essendo un blando corrosivo, invece la radice del tarassaco in tempi di vacche magre come durante le guerre, tostata e pestata era un buon surrogato del caffè.


In conclusione una pianta che è una vera prelibatezza nonché una sana ed economica farmacia.



domenica 26 febbraio 2012

Ricordo del Toni B.

Anche questa è una riproposizione: il ricordo di una persona particolare scomparsa ormai da decenni, ma sempre presente nel ricordo di chi ha conosciuto Toni B.



Girava per il paese quasi sempre sbraitando contro i monelli che lo facevano arrabbiare urlando BUUUMM.
Era un personaggio caratteristico, credo fosse nato tra la fine dell'800 e i primi del 900, si dichiarava comunista in un paese dove la DC aveva percentuali bulgare, nella sua povera casa in un quadro teneva l'epigrafe di Giuseppe Stalin morto una decina di anni prima inoltre era molto orgoglioso di un paio di libri molto vecchi, probabilmente del 700 che erano scritti con la effe per esse come diceva lui.
Si chiamava Toni e dichiarava di essere lui l'inventore della bomba atonica come la chiamava e per questo motivo noi ragazzacci urlavamo bum quando lo intravedevamo.
Era molto suggestionabile e con una certa cattiveria tutti lo facevano arrabbiare, era sufficiente che una persona di cui lui aveva fiducia intavolasse qualche argomento strano per infiammarlo e qualche altro poi contestava le sue argomentazioni, perché perdesse le staffe e incominciasse ad urlare.
Scagliava degli anatemi contro chi lo contrastava, il più frequente secondo lui in latino, ( che sicuramente qualcuno gli aveva suggerito) , diceva: Galles galestrum fecisti trimare pilastrum che tradotto dal maccheronico avrebbe significato: Gallo galestro facesti tremare il pilastro, però lui era convinto trattarsi di un potente anatema e un altro era: Nano fra i nani della famiglia dei nani fuggi da questo locale o ti faccio assaggiare il sapore di un nodoso randello di montagna, e questo era probabilmente suo.
Oggi il comportamento tenuto da tutti nei suoi confronti non sarebbe assolutamente accettabile, ma cinquant'anni fa nessuno pensava di fargli del male facendolo arrabbiare.
Toni era molto attento alle innovazioni tecnologiche e ispirato da qualcuno, una volta decise di inventare il paracadute, salì con un grosso ombrello sul tetto di una chiesetta, il problema sorse, raccontano, quando gli mancò il coraggio di saltare da un'altezza di tre/quattro metri, ma titubante arretrò e purtroppo scivolò oltre l'orlo, forse saltando l'ombrello avrebbe un po' ammortizzato la caduta, ma scivolando lungo il muro rimase impigliato a mezz'aria in uno spuntone sporgente, poi la caduta rovinosa dopo lo strappo del vestito impigliato, con grande sollazzo di coloro che assistevano all'invenzione del paracadute.
Durante la guerra andò a lavorare per i tedeschi con l'organizzazione Todt come erano costretti a fare tutti gli uomini che non erano in guerra, tutti sapevano che il Toni era antifascista e qualche imbecille, mentre si arrampicavano sulla montagna dove scavavano delle gallerie, pensò bene di attaccargli un gagliardetto fascista sulla cassetta di dinamite che portava sulle spalle, quando si accorse del simbolo fascista, perse la testa e scagliò la cassetta lontano, per sua fortuna anche i tedeschi lo conoscevano e ridevano di lui e si limitarono a prenderlo a calcioni finché recuperò la cassa.
Ci sarebbe da riempire un volume di duemila pagine con le sue avventure inesauribili, ma mi limiterò a raccontare ancora due aneddoti.
Venne un tempo che si interessò delle proprietà curative delle erbe, però si infuriava se qualcuno gli diceva che era botanico, perché sosteneva che il botanico costruiva le botti, mentre un intenditore di erbe era un erbivoro.
Capitò che una sera mentre era all'osteria, entrò nel locale un "moleta" ( termine col quale si definiva un arrotino ambulante), il moleta ed il Toni cominciarono a conversare e Toni, che in quel periodo era interessato alle erbe, sciorinò tutto il suo sapere, mentre il moleta ascoltava con grande interesse e ad un certo punto della conversazione l'arrotino guardando il Toni con rispetto gli disse" ma allora voi siete un  botanico!"
All'esplosione d'ira del Toni il poveretto guadagnò velocemente l'uscita terrorizzato, lui non sapeva la differenza tra botanico ed erbivoro inoltre non sapeva nemmeno che la persona che aveva di fronte era assolutamente innocua.
Per finire, negli anni sessanta edificarono un ospedale nella vicina cittadina e il nostro amico era diventato un cliente, un po' per i malanni dell'età, un po' perché un primario si divertiva con lui e un po' perché all'ospedale rimediava qualche attenzione; in quelli anni cominciarono a circolare le prime radio a transistor e lui era stato uno dei primi ad acquistarne una e girava per il paese con questa voluminosa radio.
Un giorno che non si sentiva troppo bene in salute, andò al posto telefonico pubblico e chiamò un'ambulanza per farsi ricoverare all'ospedale, solo che quando giunse all'ospedale si accorse di essersi dimenticato la radio a casa, fu così che si autodimise,  e  con la corriera, (così si chiamava l'autobus a quei tempi), tornò a casa, recuperò la radio e sempre con la corriera tornò all'ospedale per il ricovero d'urgenza.
A distanza di tanti anni, Toni è sempre ben presente nei miei ricordi, ( molto numerosi a suo riguardo), anch'io qualche volta gli ho mancato di rispetto,e ora me ne dolgo, ma ora ho una sensibilità diversa, spero che se il suo spirito vaga da qualche parte, non me ne abbia e si faccia un sorriso per questi miei ricordi

lunedì 20 febbraio 2012

il ginepro

 Juniperus appartiene al genere delle cupressaceae, è arbusto sempreverde alto fino ad un paio di metri, (ma in California il   juniperus occidentalis , che cresce negli USA), esiste una pianta  vecchia forse di tremila anni, alta 26 metri e con un diametro di 3,88m.); le foglie aghiformi sono molto pungenti le bacche mature di colore viola scuro con riflessi argentei lucido, giungono a maturazione l'anno dopo l'impollinazione.
Il ginepro è un arbusto comune nei luoghi aridi e cresce fino ad un'altezza di 2.500 m/slm, in climi temperati e soleggiati o in mezz'ombra in suoli sabbiosi o carsici.
Le bacche, ricche di resine, sono chiamate "galbuli"







in botanica e sono utilizzate in cucina come spezie per i piatti di selvaggina, sono usate pure per aromatizzare le grappe al ginepro e per la produzione del gin.
Nella medicina popolare si usano per curare i disturbi digestivi, nelle malattie respiratorie, reumatiche e delle vie urinarie; controindicazioni all'uso si hanno in gravidanza e per affezioni renali infiammatorie.







Il suo legno bruciato veniva usato per profumare delicatamente i salumi e i formaggi affumicati, con il legno di ginepro in qualche paese delle Alpi si costruivano i mestoli usati per rimestare la polenta, poiché oltre ad un leggero profumo che rilasciava, era inattaccabile dalle muffe.
Si riteneva inoltre che tenesse lontani i serpenti e nella tradizione cristiana questa qualità veniva interpretata come purificazione dai peccati.
Nel Medioevo era considerato come la panacea di tutti i mali, famoso come rimedio contro le possessioni maligne e addirittura come cura della peste bubbonica.
Molte le leggende popolari sui poteri magici del ginepro: in Toscana appendevano rametti di ginepro per tenere lontane le streghe, si diceva che le streghe si fermavano a contare le foglie aghiformi, ma poi perdevano il conto e andavano in confusione e si allontanavano dall'abitazione con stizza, ( aggiungo con una nota mia che magari si allontanavano dalla Toscana per rifugiarsi in Lombardia dove finivano nelle braccia del santo cardinale Carlo Borromeo che provvedeva poi ad arrostirle sul rogo).
Secondo una credenza popolare tedesca, se veniva invocata la fata del ginepro, questa poteva costringere i ladri a restituire il maltolto, ma per fare questo bisognava curvare fino a terra un ramo di ginepro, fermarlo con una pietra e urlare il nome del ladro che non poteva opporsi a quel richiamo e doveva presentarsi col maltolto.



Secondo un'altra leggenda medioevale, durante la fuga in Egitto, la sacra famiglia era inseguita dai soldati di Erode e solo una pianta di ginepro aveva aperto le sue fronde per occultare i fuggiaschi agli sgherri ormai sopravvenuti che dovettero rinunciare alla ricerca perché punti aspramente dagli aghi di ginepro, poi per riconoscenza la madonna benedisse la pianta profetizzando che con il suo legno si sarebbe costruita la croce.
Sicuramente questa essenza  è considerata un'essenza benefica, allora: grazie ginepro per quanto ci sai donare.

giovedì 16 febbraio 2012

incontro con la guerra


 Mi scuso per la pessima qualità delle immagini, si tratta di diapositive che ho scattato io in quei terribili giorni,  ho proiettato le diapositive e rifotografate, questo il motivo della qualità indecorosa.





Un paio di settimane dopo il primo viaggio nella martoriata ex Jugoslavia, la generosità della gente ci consentì di partire nuovamente verso  la Jugoslavia.
In questa seconda spedizione decidemmo di inoltrarci verso l'interno  nella Slavonia, una regione dove fra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 si erano insediati molti bellunesi; quelli erano paesi che per la fertilità del suolo,prosperavano sotto l'impero austroungarico, mentre fra queste montagne imperava la miseria e il destino degli uomini si chiamava emigrazione, ancora oggi esistono delle comunità bellunesi nel mondo dove si parla ancora il dialetto di fine ottocento, per questo motivo prima della fine della guerra i contatti con la Slavonia erano frequenti e sempre per questo motivo scegliemmo di portare un po' di aiuto ai nostri ex conterranei.
Un generoso trasportatore mise a disposizione il suo tempo ed il suo TIR per portare il materiale che si era raccolto, ancora va il mio pensiero riconoscente verso questo generoso che ben sapeva che ci saremmo inoltrati in zona di guerra e rischiava il suo mezzo.
Eravamo partiti una gelida alba di dicembre, o ero alla guida di un Ducato e avevo chiesto di essere solo, perché mi piaceva restare in compagnia delle mie riflessioni senza obbligo di conversazioni inopportune.

Alla dogana di Trieste le formalità furono molto brevi,
 
 c'erano solo i nostri mezzi e molta cordialità fra i doganieri, ci fermammo in un piazzale in vicinanza di Lubiana per mangiare qualche panino, velocemente perché era molto freddo e poi avanti, imboccammo l'autostrada per Belgrado assolutamente deserta

a parte qualche mezzo militare  sulla corsia opposta, così giunse  rapidamente le sera, ricordo le pompe di trivellazione del petrolio che per un pezzo ci accompagnarono a fianco dell'autostrada con gli enormi bracci che giravano in controluce nel rosso del tramonto.
A notte, ( a inizio dicembre la notte cala molto presto), superammo una colonna di carri armati che procedevano nel buio a luci spente e infine arrivammo nella cittadina che era la nostra base e subito andammo alla canonica dove dovevamo scaricare la merce.
Una squadra di ragazzi era già in attesa

 e in breve tempo il materiale venne scaricato, poi ci accompagnarono all'albergo per rinfrescarci,  poi eravamo attesi in canonica per la cena, assieme al sindaco , autorità locali ed ex bellunesi che traducevano tutto in dialetto veneto..
La chiesa e la canonica si trovavano in cima ad una collina boscosa e mentre avanzavamo sparpagliati nel parco tra il paese e la chiesa con le torce elettriche perché la cittadina era avvolta nel buio, la guerra era a pochissimi km, una sventagliata di mitra venne sparata nelle nostre vicinanze, le nostre giacche a vento rifrangenti erano visibilissime alla minima luce, un pensiero immediato: se volevano spararmi l'avrebbero già fatto e se volevano spaventarmi non gli avrei dato soddisfazione e proseguii come fecero tutti gli altri amici, non ci furono altri spari.
Quando ci radunammo in canonica , notammo che tre dei nostri, ( eravamo una decina), quelli che a parole erano i più spacconi erano tutti infangati, alla sventagliata si erano sdraiati in terra , ma in una pozzanghera.
La cena frugale ma gustosa fra i racconti di quanto accadeva in quelle zone e non erano racconti piacevoli, dopo la cena il parroco doveva celebrare un matrimonio al quale assistemmo.
Arrivarono le macchine degli sposi, erano delle vecchissime cinquecento

 e 850 con le bandiere croate che sventolavano, la maggior parte degli invitati erano armati, poi ci spiegarono che dal bosco sottostante  sul versante opposto alla città  la notte salivano i serbi per controllare i movimenti in città.
La chiesa era molto bella di stile barocco e mi rimasero impressi gli inni cantati da una suora che suonava pure l'organo, aveva una voce delle più belle che avessi mai sentito e mi sovvenne la poesia del Giusti: "...sentia nell'inno la dolcezza amara dei canti uditi da fanciullo..." ancora oggi mi viene un attimo di commozione a ripensarci.
All'uscita dalla chiesa, mentre guardavamo la pianura sottostante, una serie di fuochi artificiali e pensai: ma che guerra è questa se fanno i fuochi artificiali per festeggiare un matrimonio, solo in secondo tempo realizzai che non erano fuochi artificiali, ma si trattava di un bombardamento a un paio di km. di distanza ci dissero e del quale avrei poi visto gli esiti il giorno dopo visitando l'ospedale.
Ritornammo all'albergo senza altre disavventure, l'albergo era pieno di profughi e di militari in riposo dal fronte e da ragazze  appariscenti che li accompagnavano.
Ebbi la fortuna, ( che poi si rivelò non essere proprio fortuna), di avere una camera singola, ,sapevo che avrei passato la notte insonne per l'eccitazione di tutto quello che avevo assorbito durante la giornata, entrato in camera un odore di sigaro mi fece capire che fino a poco prima la camera era stata usata, spalancai le finestre per arieggiare ed ammirare la città buia  dall'ultimo piano,  poi chiusa la tenda per l'oscuramento controllai bene il letto, le lenzuola e la federa sembravano  pulite, però non altrettanto le coperte scoprii 15 giorni dopo quando durante un altro viaggio un prurito insistente alla nuca mi faceva grattare in continuazione e la situazione peggiorò senza che il mio medico trovasse rimedio, finché non mi mandò dal dermatologo il quale mi chiese se ero stato all'estero e alla mia affermazione mi disse trattarsi di scabbia!
Fortunatamente, nonostante il periodo infernale passato col prurito tremendo, particolarmente la notte, non contagiai nessuno, una puzzolentissima lozione in pochi giorni debellò i parassiti e mi ritenni anche fortunato che si fosse trattato di scabbia e non di parenti stretti della scabbia che prediligono zone pelose, altrimenti poteva nascere qualche dubbio imbarazzante., quello era un regalo fattomi dai precedenti guerrieri che usarono quel letto!
Il silenzio della notte era continuamente rotto da sorde esplosioni che poi mi spiegarono essere dovute alla dinamite che usavano per radere al suolo le case dei nemici.

mercoledì 15 febbraio 2012

augurio di primavera


A tutti gli amici che apprezzano la natura e che anelano l'arrivo della primavera un dono:






...Un giorno
mi sorprese la primavera
che in tutti i campi intorno
sorrideva.
Verdi foglie in germoglio
gialle rigonfie gemme delle fronde,
fiori gialli, bianchi e rossi davano
varietà di toni al paesaggio.
E il sole
sulle fronde tenere
era una pioggia
di raggi d'oro;
nel sonoro scorrere
del fiume ampio
si specchiavano
argentei e sottili i pioppi.

Antonio Machado


lunedì 13 febbraio 2012

Fiori di montagna; Anemoni

scheda V

In attesa che finalmente arrivi un po' d'aria primaverile per mitigare questo lunghissimo febbraio ecco un tipico fiore primaverile: l'anemone








L' Anemone appartiene alla famiglia delle ranuncolacee e anemone significa "Fiore del vento", è una pianta erbacea con le foglie sparse, come tutte le ranuncolacee è una pianta velenosa .
E' una delle prime piante a fiorire alla fine dell'inverno, fiorisce da febbraio ad aprile e anche più tardi ad altitudini più elevate
Cresce in ambienti umidi su terreno calcareo, fino a un'altezza di circa 1.000 m.slm,
eccezionalmente arriva oltre i 2.000 m .
I fiori sono di color e azzurro- violaceo.
E' conosciuto anche col nome di Erba trinità


Anemone vulgaris o Erba trinità


Anemone nemorosa o Anemone bianco oppure Silvia




Frequentemente assieme all Anemone vulgaris, fiorisce anche l' "Anemone nemorosa" o "Anemone bianco", oppure "Silvia" sempre della famiglia delle ranuncolacee , i fiori sono bianchi tra le prime a fiorire nel tardo inverno, quando piove e la sera si inclina verso terra con i petali che si racchiudono per proteggere gli stami e i pistilli.



Anemone nemorosa chiuso dopo la pioggia

Per la mitologia greca Anemone era la sposa di Zefiro (vento caldo dell'ovest), che spirando favoriva la nascita dei fiori.



Alla stessa famiglia delle ranuncolacee appartiene pure il giallo "Anemone ranuncoloides" o
"Anemone dei boschi"







Anemone giallo o anemone dei boschi


Fiorisce da marzo a giugno nei boschi ombrosi e lungo le rive dei torrenti, fra i 100 e i 1.500 m. slm;
diffuso nel nord Italia e sull' Appennino centro-settentrionale.
E' una pianta tossica, nella Siberia orientale il succo ricavato da questa pianta, era utilizzato per avvelenare le frecce dalle tribù locali.

, ancora guerra




Il terzo giorno di permanenza era prevista la visita al villaggio interamente  abitato dai bellunesi per vedere quali fossero le loro necessità in modo da risolvere qualche problema al prossimo viaggio.
La strada da percorrere non era tanta  e ci avevano ragguagliato sulle condizioni di sicurezza.
Il capo villaggio ci accolse con piacere e per l'occasione scavò nell'orto per recuperare un paio di bottiglie di slivovitz che aveva interrato per invecchiare una decina di anni prima: era un liquore favoloso per il gusto ed il sapore.
Tutto sommato, anche se erano vicinissime alle zone di combattimento, non erano stati bersagliati, il signor A*** ci disse che loro erano sempre andati d'accordo con tutti, sia con i serbi che con gli ungheresi di un villaggio vicino, non avevano subito distruzioni, però ci raccontava che dovevano vigilare costantemente, di giorno perché non entrino nelle cantine i nostri diceva, riferendosi ai croati, mentre la notte dovevano vigilare perché non arrivassero i serbi.
Il capo villaggio raccontò che aveva due figli rifugiati in Italia e poi seppi che altri abitanti del paese non erano contenti di questo.
Siamo poiu andati a visitare il villaggio accolti festosamente dalla gente desiderosi di parlare con noi, mi stupiva il dialetto che parlavano, sentivo echeggiare  parole ormai desuete che avevo sentito  solo nella prima infanzia dagli anziani del mio paese, parole che in pochi anni si erano italianizzate, mentre in  Croazia erano ancora di uso comune..
Mi stupii anche per la grande quantità di armi lasciate bene in vista e non custodite nei posti più impensati, per la strada giravano molti militari.
Ci venne proposto di andare più avanti in un villaggio abbandonato da dove si poteva vedere il fronte, giungemmo ad un successivo villaggio abbandonato dalla popolazione, ma  presidiato dai soldati, molte le case distrutte, probabilmente era a maggioranza serba e dagli squarci nei muri delle case, si vedeva che era stato abbandonato precipitosamente, parcheggiammo  gli automezzi in una zona che ci pareva sicura, perché  dovevamo percorrere un tratto di viottolo in mezzo ai campi di granturco.
Al limite del villaggio ero assieme al signor A*** che ci accompagnava quando da dietro un carro armato  sbucò un  militare armato , era una persona di una certa età e riconosciuto il mio accompagnatore che fece le presentazioni, questo militare mi chiese se ero in grado di insegnarli ad usare il carro armato che avevano catturato il giorno precedente, ma che nessuno sapeva usare, evidentemente questo non era nelle mie competenze ed in ogni caso ero là per scopi umanitari e non per collaborare o parteggiare per una delle fazioni in lotta, poi il soldato mi raccontò qualcosa delle vicende belliche e alzando la voce perché il signor A*** sentisse bene, mio raccontò che aveva portato sulle spalle per svariati km  il figlio ferito in combattimento e aggiunse sempre in dialetto: E dì a quelli che hanno i figli fuori per l'Italia che adesso è il momento di essere uniti e qua e che non credano che quando tutto sarà finito, possano ritornare e fare i padroni.
Così compresi che la guerra scavava dei solchi profondi anche fra coloro che per una vita erano sempre stati amici.
Quando ci fummo allontanati il signor A****, mi disse che non si riferiva ai suoi figli , ma  ad altre persone, cosa di cui non ero affatto convinto e sapevo che gli strascici sarebbero durati molto a lungo.
Poi  mi raccontò di quanto fosse nefasta la guerra, mi disse che avevano cominciato a godere di un certo benessere , ma che ora erano retrocessi  di molti anni
Lasciato alle spalle il villaggio con il carro armato catturato ai serbi  attraversammo una fertile pianura in mezzo ai campi di mais abbandonati causa l'arrivo della guerra.

Lungo la strada rurale attraverso i campi dove i profondi solchi tracciati dal transito di trattori e mezzi blindati nel fango che il gelo aveva solidificato, provavo una certa inquetitudine, perché ,come mi confermò il nostro interprete signor A***, in quel posto poco tempo prima, avevano sparato a una donna uccidendola e di questo episodio ne aveva parlato parecchio la stampa italiana.

campi di granturco dove è stata uccisa una donna inerme

Passammo vicino ad un grosso trattore con le ruote scardinate  e il signor A*** dando un'occhiata dentro, ci raccontò che fino al giorno precedente all'interno del trattore c'era un cadavere, ma  che era stato rimosso durante la notte.



Poco tempo dopo arrivammo in un paesino apparentemente abbandonato

alla periferia della cittadina di Pakrac, paesino situato su un'altura, a circa un paio di Km. di distanza, un anfiteatro di colline e su queste colline era in corso una battaglia, si sentivano gli spari e si vedeva il fumo di vari incendi, ma dove mi trovavo io, tutto sembrava tranquillo.

sulle colline infuria la battaglia
A un certo punto mentre ero assorto a fotografare, non mi ero accorto che gli altri si erano allontanati.

Mentre scattavo un'ultima foto, alle spalle sentii lo scricchiolare di una porta che lentamente si apriva, girandomi verso la fonte del rumore, mi resi conto di essere solo e un brivido mi colse quando vidi una porta che si socchiudeva e accanto alla porta scorsi un cannoncino oppure un mortaio che precedentemente non avevo notato; normalmente uno strumento di morte simile non viene lasciato incustodito, ma dopo un interminabile momento di paura, mi resi conto che non c'era nessuno, solo un refolo di vento che faceva stridere la porta.
sulla veranda, il cannone fantasma
Mi affrettai a raggiungere gli altri che stavano chiacchierando con un gruppetto di soldati croati che erano sopraggiunti nel frattempo, poi il signor A***, ci accompagnò nell'unica casa abitata del paese e ci presentò al proprietario.

Questo signore, che era il capo villaggio, parlava molto bene l'italiano, imparato in anni di emigrazione in Svizzera a contatto con gli italiani e ci raccontò che dopo molti anni di lavoro all'estero, con grossi sacrifici, era riuscito a costruirsi una villetta che ora era traforata dai fori tondi delle cannonate, ci disse che non se ne sarebbe mai andato anche se era rimasto solo in paese e mi pregò di scattare qualche foto della sua casa per documentazione.
la vita si è fermata
Ci invitò a fermarci a mangiare un frugale pasto a base di grossi pesci che pescava da un affluente della Sava.

Ci offrì una bottiglia di vino che aveva conservato per le grandi occasioni, bottiglia che era tappata e nessuno disponeva di un cavaturaccioli, ma il signore non si perse d'animo e ci insegnò il sistema per togliere il tappo senza attrezzi; dunque avvolse il fondo della bottiglia con un asciugamani, poi si mise a battere la bottiglia contro il muro e piano piano il tappo si sollevò consentendoci di brindare.

Durante il pranzo che fu ottimo si chiacchierava della guerra e curiosamente avvenivano delle traduzioni simultanee a tre.

Noi parlavamo italiano col signore di Pakrac e in dialetto bellunese col signor A***, il quale non capiva mezza parola d'italiano, mentre i due croati fra di loro parlavano croato traducendo poi a noi in italiano o in dialetto a seconda del traduttore, un episodio veramente curioso, mentre in lontananza continuavano a giungere i rumori della battaglia.

Dopo aver regalato qualche pacco di viveri e di prezioso caffè, in cambio del pranzo, salutammo il solitario abitatore del villaggio con la promessa di ritornare dopo qualche settimana, indi facemmo ritorno verso l'albergo.

Nel percorso di ritorno ci fermammo in un paese sede di comando militare e mentre stavamo curiosando attorno arrivarono un paio camions che i militari ci dissero essere pieni di cadaveri dei caduti nei giorni precedenti.

Due dei militari mi rimasero particolarmente impressi, uno era piccolo, gracile e smilzo, infagottato in una divisa tre volte superiore alla sua taglia, portava un fucile più alto di lui e sulla schiena uno zaino che pesava almeno quanto lui, l'impressione che mi fece, era di trovarmi in un fumetto delle Sturmtruppen e ora, ogni volta che vedo la diapositiva, mi scappa un sorriso.
Il secondo invece era un gigante con la divisa da "Ustascià", armato fino ai denti, con un basco nero in testa e un enorme crocifisso di legno al collo, dava l'idea della violenza fine a se stessa e della chiusura dell'integralismo religioso.


A cinquant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, dopo il pluridecennale governo del maresciallo Tito, ancora giravano i seguaci del cardinale Stepinac e di Ante Pavelic.

Ritornati a K***, prima del ritorno in Italia, era prevista una visita all'ospedale locale per lasciare materiale chirurgico e farmaci.

Mentre attendevamo all'esterno dell'ospedale, arrivarono dei militari croati, in particolare uno che era un gigantesco marcantonio armato con due Kalashnicov a tracolla, pistola alla cintura e coltellacci vari alla cintura e alle gambe e con un piede ferito avvolto in un sacchetto di plastica, questi accortosi che eravamo italiani cominciò a provocarci, perché la Croazia non era ancora stata riconosciuta dal governo italiano, ma solo dallo stato del Vaticano, adocchiò i nostri zaini che avevamo scaricato dai mezzi per togliere il materiale sanitario e cercò di impadronirsi di uno zaino, vicino a noi si trovava un agente della polizia che senza dire una parola si avvicinò al gigante e con indifferenza mise la canna del mitra sotto la gola dell'energumeno che borbottando e zoppicando si allontanò con i compagni.

Entrati nell'ospedale ci trovammo di fronte a scene che avevamo visto solo nei film, gente ferita sdraiata nei corridoi in assoluto silenzio, le camere operatorie con le porte spalancate mentre i medici operavano i feriti sotto gli occhi di tutti.

Barelle che scaricavano altri militari che si tenevano gli arti sanguinanti, venimmo ricevuti dal primario che continuando ad operare un ferito all'addome, ci ringraziò per il materiale che avevamo portato e del quale avevano grande bisogno.

Dopo una seconda notte in albergo ancora allietati dalle esplosioni e dagli spari, intraprendemmo la strada del ritorno in Italia e ancora pronti per ulteriori viaggi umanitari






antologia aperta lungo la strada

venerdì 10 febbraio 2012

Fiori di montagna: la belladonna

scheda IV




Ripropongo una scheda botanica su una pianta particolare e molto velenosa, si tratta dell'  ATROPA o Belladonna, è un arbusto alto circa un metro e mezzo della famiglia delle solanacce, la stessa a cui appartengono i pomodori e le patate.
L'Atropa-belladonna è un arbusto  che cresce in zone montane fino a circa 1.400 metri di altezza in terreni calcarei, le foglie di forma ovale-lanceolata sono ricoperte di peli e di odore sgradevole, i fiori a calice





con cinque sepali e una corolla di cinque petali a forma di calice di colore violaceo, fiorisce in estate, poi i fiori si trasformano in bacche nere e lucide.



Viene usata in medicina come dilatatore delle pupille e come miorilassante prima di interventi chirurgici.
Atropa nella mitologia greca era una delle tre Moire, (le Parche nella mitologia romana), era colei che tagliava il filo della vita, hanno  chiamato la pianta con questo nome a causa del veleno in alte dosi contenuto nella pianta dalle radici alle bacche.
Tale sostanza velenosa è l'atropina presente anche nelle piante di Mandragora, Stramonio e Giusquiamo, conosciuta fin dai tempi di Ippocrate 400 A.C
.
Nel medioevo il succo di belladonna veniva usato dalle dame per ottenere lo " sguardo sognante", lo sguardo sognante era dovuto alla dilatazione della pupilla e alla paralisi dell'accomodazione in seguito all'azione dell'atropina.
 Aggiungo per integrazione queste interessanti note di Speradisole http://speradisole.wordpress.com/ 

La belladonna è una pianta medicinale preziosa, perché i suoi alcaloidi sono insostituibili in certe situazioni anche di pronto soccorso. Per esempio se una persona si avvelena con gli organofosforici l’unico antidoto è l’atropina. Tutte le farmacie ospedaliere debbono esserne dotate.
Per quanto riguarda l’effetto midriatico questo si ottiene facilmente nell’occhio con le gocce dosate appositamente, mentre per via sistemica questo effetto si manifesta poco
Le donne d’un tempo, che volevano conquistare e fare le fascinose, usavano bere infusi della pianta (soprattutto le foglie), ma, oltre a vederci poco, restavano anche a bocca asciutta. L’atropina infatti azzera la salivazione, in compenso spariva loro il mal di pancia. Prima dei moderni antiparkinsoniani, veniva usata contro questo male e si chiamava “Cura Bulgara”.
Al tempo dell’inquisizione qualsiasi donna che usava erbe medicinali veniva considerata una strega. Per fortuna che alcuni osservatori della natura, scienziati, hanno capito che dietro a certi effetti ci stavano sostanze preziose. Così è stato anche per l’aspirina (acidoacetilsalicilico), dal nome chimico si deduce che deriva dal salice. Era nota anche ai Romani i quali, per attutire il dolore delle ferite da arma bianca, erano soliti succhiare rametti di salice. In compenso quando arrostivano le carni infilate in rametti di oleandro morivano avvelenati.

Nel 1960 un antropologo tedesco Erich Peuckert, seguendo  le istruzioni di un antico libro di stregoneria, prepara un unguento conosciuto come "il sussurro delle streghe" attenendosi scrupolosamente alla ricetta.
Tale unguento veniva usato dalle streghe in occasione dei sabba per i poteri afrodisiaci, allucinatori ed eccitanti.



Dopo aver aver usato l'unguento su se stesso, Peuckert sprofonda in catalessi per oltre 20 ore, durante le quali orribili visioni di esseri diabolici , mostri, e paesaggi infernali lo tormentano atrocemente.
La differenza di quantità di atropina necessaria fra le allucinazioni e la morte è molto tenue, motivo per cui è ASSOLUTAMENTE DA EVITARE in qualsiasi circostanza.

lunedì 6 febbraio 2012

Fiori di montagna: Erythronium dens canis

Scheda III


Un altro graziosissimo fiore che si affaccia a primavera è: l' Erythronium dens canis della famiglia delle Liliacee.
Purtroppo la scheda è scarna, perché sono riuscito a reperire poche informazioni su questo bellissimo fiore.
E' una pianta perenne il cui nome volgare è: dente di cane probabilmente a causa della forma dei tepali, che ricordano gli aguzzi denti dei cani ed è una pianta che nasce da bulbo.
Il colore dei tepali, varia dal bianco, al rosato, al violaceo.
Le foglie sono maculate, l'altezza è di circa 10/20 cm.; fiorisce in marzo/ aprile nei boschi di latifoglie e nelle radure: cresce fino a circa 700 m. slm.
E' comune nelle regioni dell' Italia Settentrionale, raro in Italia Centrale ed assente nel Sud Italia. Non è velenosa, ma quando viene raccolta appassisce in pochissimo tempo, pertanto si raccomanda di godere della sua bellezza lasciandola nel suo ambiente.

sabato 4 febbraio 2012

Fiori di montagna : Fior di stecco

IIa scheda




Un arbusto molto bello che fiorisce quando ancora ci sono chiazze di neve è il  " Daphne mezereum"  conosciuto anche come " Fior di stecco" della famiglia delle "Thymelaeaceae".
Fioritura da febbraio a maggio, i fiori di color rosa carico  hanno un profumo molto intenso e fiorisce quando ancora non ci sono le foglie, da qui il nome Fior di stecco..
La pianta arriva fino al metro ed oltre di altezza e cresce nell'intrico del bosco.
La pianta  è velenosa a causa della corteccia molto acre e provoca bruciore e gonfiore, ( ne so qualcosa quando vidi il mezereo la prima volta e volli portare a casa un ramo fiorito, ma  a causa della sua forte resistenza  a spezzarsi, tentai di asportarlo con i denti, non consiglio di ripetere l'operazione, sono rimasto mezza giornata con la bocca intorpidita).
Se ingerito in forte quantità provoca delirio e colasso seguiti dalla morte.
Dopo la fioritura appaiono le foglie a forma di pera, e poi delle bacche che contengono un solo seme, molto velenoso, assolutamente da non ingerire.




mercoledì 1 febbraio 2012

Fiori di montagna:Elleboro

Riproponendo vecchi post, ripubblico qualche scheda dei fiori di montagna





Frequentando una lezione di botanica, ho scoperto che la mia conoscenza dei fiori di montagna è abbastanza vasta, ho così deciso di farmi una galleria di foto e di schede, comincio pubblicando uno dei primi fiori che si vedono per i boschi già sul finire dell'inverno, si tratta dell' Elleboro verde, conosciuto anche come Rosa di Natale.
Il suo nome botanico è: Elleborus Viridis, della famiglia delle Ranuncolacee
E' una pianta velenosissima ed è consigliato lavarsi le mani dopo averla toccata.
Fiorisce da gennaio ad aprile fino a 1.600 metri di quota nei prati e al margine dei boschi.
Secondo la mitologia greca, un pastore di nome Melampo, vedendo che le sue capre dopo aver brucato l'elleboro, si purgavano, decise di usarlo come medicamento e lo propinò alle figlie del re di Argo, colpite da pazzia, (credevano di essere state trasformate in vacche), le principesse guarirono e Melampo ne ebbe una in moglie assieme a parte del regno di Argo.
Il poeta Orazio, consigliava di recarsi sull'isola di Antikyra per curare la pazzia; sull' isola l'elleboro cresce abbondantemente.
Nel bellunese la pianta è conosciuta col nome volgare di "Scaccia pidocchi", forse veniva usata per frizioni contro i parassiti, ( forse , come si dice nel mio  dialetto : "pedo el tacon del bus", cioè: "peggio la toppa del buco"), attualmente non viene più usata in farmacia, in quanto pianta altamente tossica e pericolosissima.