lunedì 13 febbraio 2012

, ancora guerra




Il terzo giorno di permanenza era prevista la visita al villaggio interamente  abitato dai bellunesi per vedere quali fossero le loro necessità in modo da risolvere qualche problema al prossimo viaggio.
La strada da percorrere non era tanta  e ci avevano ragguagliato sulle condizioni di sicurezza.
Il capo villaggio ci accolse con piacere e per l'occasione scavò nell'orto per recuperare un paio di bottiglie di slivovitz che aveva interrato per invecchiare una decina di anni prima: era un liquore favoloso per il gusto ed il sapore.
Tutto sommato, anche se erano vicinissime alle zone di combattimento, non erano stati bersagliati, il signor A*** ci disse che loro erano sempre andati d'accordo con tutti, sia con i serbi che con gli ungheresi di un villaggio vicino, non avevano subito distruzioni, però ci raccontava che dovevano vigilare costantemente, di giorno perché non entrino nelle cantine i nostri diceva, riferendosi ai croati, mentre la notte dovevano vigilare perché non arrivassero i serbi.
Il capo villaggio raccontò che aveva due figli rifugiati in Italia e poi seppi che altri abitanti del paese non erano contenti di questo.
Siamo poiu andati a visitare il villaggio accolti festosamente dalla gente desiderosi di parlare con noi, mi stupiva il dialetto che parlavano, sentivo echeggiare  parole ormai desuete che avevo sentito  solo nella prima infanzia dagli anziani del mio paese, parole che in pochi anni si erano italianizzate, mentre in  Croazia erano ancora di uso comune..
Mi stupii anche per la grande quantità di armi lasciate bene in vista e non custodite nei posti più impensati, per la strada giravano molti militari.
Ci venne proposto di andare più avanti in un villaggio abbandonato da dove si poteva vedere il fronte, giungemmo ad un successivo villaggio abbandonato dalla popolazione, ma  presidiato dai soldati, molte le case distrutte, probabilmente era a maggioranza serba e dagli squarci nei muri delle case, si vedeva che era stato abbandonato precipitosamente, parcheggiammo  gli automezzi in una zona che ci pareva sicura, perché  dovevamo percorrere un tratto di viottolo in mezzo ai campi di granturco.
Al limite del villaggio ero assieme al signor A*** che ci accompagnava quando da dietro un carro armato  sbucò un  militare armato , era una persona di una certa età e riconosciuto il mio accompagnatore che fece le presentazioni, questo militare mi chiese se ero in grado di insegnarli ad usare il carro armato che avevano catturato il giorno precedente, ma che nessuno sapeva usare, evidentemente questo non era nelle mie competenze ed in ogni caso ero là per scopi umanitari e non per collaborare o parteggiare per una delle fazioni in lotta, poi il soldato mi raccontò qualcosa delle vicende belliche e alzando la voce perché il signor A*** sentisse bene, mio raccontò che aveva portato sulle spalle per svariati km  il figlio ferito in combattimento e aggiunse sempre in dialetto: E dì a quelli che hanno i figli fuori per l'Italia che adesso è il momento di essere uniti e qua e che non credano che quando tutto sarà finito, possano ritornare e fare i padroni.
Così compresi che la guerra scavava dei solchi profondi anche fra coloro che per una vita erano sempre stati amici.
Quando ci fummo allontanati il signor A****, mi disse che non si riferiva ai suoi figli , ma  ad altre persone, cosa di cui non ero affatto convinto e sapevo che gli strascici sarebbero durati molto a lungo.
Poi  mi raccontò di quanto fosse nefasta la guerra, mi disse che avevano cominciato a godere di un certo benessere , ma che ora erano retrocessi  di molti anni
Lasciato alle spalle il villaggio con il carro armato catturato ai serbi  attraversammo una fertile pianura in mezzo ai campi di mais abbandonati causa l'arrivo della guerra.

Lungo la strada rurale attraverso i campi dove i profondi solchi tracciati dal transito di trattori e mezzi blindati nel fango che il gelo aveva solidificato, provavo una certa inquetitudine, perché ,come mi confermò il nostro interprete signor A***, in quel posto poco tempo prima, avevano sparato a una donna uccidendola e di questo episodio ne aveva parlato parecchio la stampa italiana.

campi di granturco dove è stata uccisa una donna inerme

Passammo vicino ad un grosso trattore con le ruote scardinate  e il signor A*** dando un'occhiata dentro, ci raccontò che fino al giorno precedente all'interno del trattore c'era un cadavere, ma  che era stato rimosso durante la notte.



Poco tempo dopo arrivammo in un paesino apparentemente abbandonato

alla periferia della cittadina di Pakrac, paesino situato su un'altura, a circa un paio di Km. di distanza, un anfiteatro di colline e su queste colline era in corso una battaglia, si sentivano gli spari e si vedeva il fumo di vari incendi, ma dove mi trovavo io, tutto sembrava tranquillo.

sulle colline infuria la battaglia
A un certo punto mentre ero assorto a fotografare, non mi ero accorto che gli altri si erano allontanati.

Mentre scattavo un'ultima foto, alle spalle sentii lo scricchiolare di una porta che lentamente si apriva, girandomi verso la fonte del rumore, mi resi conto di essere solo e un brivido mi colse quando vidi una porta che si socchiudeva e accanto alla porta scorsi un cannoncino oppure un mortaio che precedentemente non avevo notato; normalmente uno strumento di morte simile non viene lasciato incustodito, ma dopo un interminabile momento di paura, mi resi conto che non c'era nessuno, solo un refolo di vento che faceva stridere la porta.
sulla veranda, il cannone fantasma
Mi affrettai a raggiungere gli altri che stavano chiacchierando con un gruppetto di soldati croati che erano sopraggiunti nel frattempo, poi il signor A***, ci accompagnò nell'unica casa abitata del paese e ci presentò al proprietario.

Questo signore, che era il capo villaggio, parlava molto bene l'italiano, imparato in anni di emigrazione in Svizzera a contatto con gli italiani e ci raccontò che dopo molti anni di lavoro all'estero, con grossi sacrifici, era riuscito a costruirsi una villetta che ora era traforata dai fori tondi delle cannonate, ci disse che non se ne sarebbe mai andato anche se era rimasto solo in paese e mi pregò di scattare qualche foto della sua casa per documentazione.
la vita si è fermata
Ci invitò a fermarci a mangiare un frugale pasto a base di grossi pesci che pescava da un affluente della Sava.

Ci offrì una bottiglia di vino che aveva conservato per le grandi occasioni, bottiglia che era tappata e nessuno disponeva di un cavaturaccioli, ma il signore non si perse d'animo e ci insegnò il sistema per togliere il tappo senza attrezzi; dunque avvolse il fondo della bottiglia con un asciugamani, poi si mise a battere la bottiglia contro il muro e piano piano il tappo si sollevò consentendoci di brindare.

Durante il pranzo che fu ottimo si chiacchierava della guerra e curiosamente avvenivano delle traduzioni simultanee a tre.

Noi parlavamo italiano col signore di Pakrac e in dialetto bellunese col signor A***, il quale non capiva mezza parola d'italiano, mentre i due croati fra di loro parlavano croato traducendo poi a noi in italiano o in dialetto a seconda del traduttore, un episodio veramente curioso, mentre in lontananza continuavano a giungere i rumori della battaglia.

Dopo aver regalato qualche pacco di viveri e di prezioso caffè, in cambio del pranzo, salutammo il solitario abitatore del villaggio con la promessa di ritornare dopo qualche settimana, indi facemmo ritorno verso l'albergo.

Nel percorso di ritorno ci fermammo in un paese sede di comando militare e mentre stavamo curiosando attorno arrivarono un paio camions che i militari ci dissero essere pieni di cadaveri dei caduti nei giorni precedenti.

Due dei militari mi rimasero particolarmente impressi, uno era piccolo, gracile e smilzo, infagottato in una divisa tre volte superiore alla sua taglia, portava un fucile più alto di lui e sulla schiena uno zaino che pesava almeno quanto lui, l'impressione che mi fece, era di trovarmi in un fumetto delle Sturmtruppen e ora, ogni volta che vedo la diapositiva, mi scappa un sorriso.
Il secondo invece era un gigante con la divisa da "Ustascià", armato fino ai denti, con un basco nero in testa e un enorme crocifisso di legno al collo, dava l'idea della violenza fine a se stessa e della chiusura dell'integralismo religioso.


A cinquant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, dopo il pluridecennale governo del maresciallo Tito, ancora giravano i seguaci del cardinale Stepinac e di Ante Pavelic.

Ritornati a K***, prima del ritorno in Italia, era prevista una visita all'ospedale locale per lasciare materiale chirurgico e farmaci.

Mentre attendevamo all'esterno dell'ospedale, arrivarono dei militari croati, in particolare uno che era un gigantesco marcantonio armato con due Kalashnicov a tracolla, pistola alla cintura e coltellacci vari alla cintura e alle gambe e con un piede ferito avvolto in un sacchetto di plastica, questi accortosi che eravamo italiani cominciò a provocarci, perché la Croazia non era ancora stata riconosciuta dal governo italiano, ma solo dallo stato del Vaticano, adocchiò i nostri zaini che avevamo scaricato dai mezzi per togliere il materiale sanitario e cercò di impadronirsi di uno zaino, vicino a noi si trovava un agente della polizia che senza dire una parola si avvicinò al gigante e con indifferenza mise la canna del mitra sotto la gola dell'energumeno che borbottando e zoppicando si allontanò con i compagni.

Entrati nell'ospedale ci trovammo di fronte a scene che avevamo visto solo nei film, gente ferita sdraiata nei corridoi in assoluto silenzio, le camere operatorie con le porte spalancate mentre i medici operavano i feriti sotto gli occhi di tutti.

Barelle che scaricavano altri militari che si tenevano gli arti sanguinanti, venimmo ricevuti dal primario che continuando ad operare un ferito all'addome, ci ringraziò per il materiale che avevamo portato e del quale avevano grande bisogno.

Dopo una seconda notte in albergo ancora allietati dalle esplosioni e dagli spari, intraprendemmo la strada del ritorno in Italia e ancora pronti per ulteriori viaggi umanitari






antologia aperta lungo la strada

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