sabato 3 marzo 2012

la casa in riva al mare

come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale.

Un certo periodo della mia vita ho dovuto passarlo in  fabbrica, non erano anni belli: ancora prima dei diciotto anni ero partito emigrante e non era una vita facile  per un ragazzo senza punti di riferimento, poi trovai un lavoro in una fabbrica nelle mie zone, tante ore ore di lavoro e retribuzione appena sufficiente per pagare una camera e due pasti al giorno.
Il lavoro era di una monotonia esasperante, una ventina di mandrini sui quali ruotavano delle mascherine e  ogni mascherina imprigionava una lente per occhiali che veniva molata con un abrasivo: l'ossido di cerio.
Il mio compito era di togliere la mascherina e sostituire la lente sempre con i macchinari in movimento dalle sette a mezzogiorno  e dalle quattordici alle diciassette più quattro ore il sabato, nessuna distrazione l'inverno con le mani nell'acqua gelida e l'estate nel caldo umido soffocante, le ore non passavano mai, ogni dieci minuti un'occhiata all'orologio, ma le lancette erano sempre lentissime, per distrarmi recitavo a memoria delle poesie o delle canzoni, oppure ripercorrevo mentalmente i sentieri che in anni migliori avevo percorso nei boschi, cercando di ricordare ogni dettaglio, dai sassi ricoperti di muschio ai discorsi fatti con qualche amico, a volte , ma troppo raramente, queste distrazioni mi consentivano di allontanarmi quasi fisicamente da quella prigione.
L'estate , a causa della tremenda umidità, venivano aperte le finestre a bocca di lupo con i vetri smerigliati e attraverso il triangolino dell'apertura riuscivo ad intravedere uno spicchio di cielo e uno spicchio di lago,  sul lago si intravedeva uno chalet e qualche barchetta e pensavo: Com'è possibile che ci sia gente libera di passare le giornate sul lago al sole, mentre io sono rinchiuso in questa prigione e la mia libertà consiste in due settimane di ferie e poi nuovamente in fabbrica senza nessuna prospettiva di una vita migliore?
La fortuna decise un giorno di accorgersi anche di me, avevo vinto un concorso e il nuovo lavoro mi lasciava molti intervalli di ore libere e fu così che una splendida mattina di sole, assieme ad un collega ed amico mi ritrovai allo chalet sul lago.
Dalla terrazza su cui mi trovavo vedevo in lontananza la famigerata fabbrica e il mio pensiero tornò subito a quei giorni senza speranza, quando il mio collega, che ignorava i miei trascorsi ma come se mi avesse letto nel pensiero, ruppe il silenzio dicendo: Pensa a quanto siamo fortunati, noi  siamo pagati per stare qua al sole in questo posto incantevole, mentre lassù ci sono le fabbriche e dentro gente che lavora !
Poi un bel giorno un Poeta scrisse una canzone: "La casa in riva al mare" e in quella canzone rivissi tutti quei tre anni prigioniero in fabbrica dove evadevo solo con la fantasia attraverso una bocca di lupo.
Grazie Lucio

E sognò la libertà,
e sognò di andare via, via

8 commenti:

Massimo Caccia ha detto...

Un racconto profondamente umano e ricco di sensazioni! Un saluto autentico per chi ci ha lasciato per "il secondo tempo".
Buona notte.

rosso vermiglio ha detto...

Che dire...mi son venuti gli occhi lucidi per questo tuo ricordo. Il grande Lucio ha saputo "parlare" al cuore di tanti di noi.
Sono passata anch'io per la fabbrica, la mia di tappeti, subito dopo il diploma, in attesa di spiccare il volo... So che significa una catena di montaggio, i turni...la vita che scorre e i tuoi anni migliori che sembrano scapparti via. Per fortuna per me è durata 9 mesi, poi il cambiamento. Era un ufficio assicurativo, per cominciare a voltar pagina, poi...la lista si farebbe lunga! :)

Gibran ha detto...

Come ti capisco, penso che in quel periodo tanti ragazzi/e compreso me siamo passati in quelle fabbriche,la mia era dove si lavorava l'oro ed ero giovanissima,la sera alle cinque quando uscivo andavo a scuola.
Amch'io vedevo fuori con i vetri semiaperti.
Poi finita la scuola andai a fare la commessa un lavoro che amavo tanto,ero fatta per stare in mezzo alla gente.Una piccola radio nel sottofondo e a volte trasmettevano le canzoni di Dalla.
Ciao Sileno.
PS Quando ero a casa Lucio con te mi scatenavo ciao.

olgited ha detto...

Bel post!Grande Lucio,ci mancherai.Buona domenica,ciaoooooooo

Adriano Maini ha detto...

Credo che Dalla avrebbe apprezzato questo tuo racconto così denso di vita vera!

Nicolanondoc ha detto...

A volte i sogni si avverano, molte volte l'ho pensato, quando a 14 anni lavoravo in ambienti tossici, poi verso i 20 anni le cose sono cambiate.
Grazie alla voglia di farcela e grazie..al sogno che abbiamo "visto" e vedremo ancora in ogni canzone di Lucio. Un abbraccio e buona serata.

Nicole ha detto...

Non so perché mi ero persa,ti sto riscoprendo. Leggerti è davvero un piacere infinito.
Io sono come te, restare per ore in un posto dal quale non posso 'fuggire' o peggio nemmeno vedere il cielo ( non nomino nemmeno il mare) mi fà davvero impazzire.

Pierpaolo ha detto...

Per quanti alcune cose son cambiate, per quanti altri molte cose son rimaste sempre le stesse...