giovedì 29 dicembre 2011

Il sole del mattino

 Il sole del mattino di Ho chi minh

Il sole del mattino
penetra nelle celle
dissipando le nebbie
le ombre i fumi.
Giunge dalla terra un'aria che fa rivivere
di nuovo cento visi
di prigionieri sorridono.


Con l'auspicio che il 2012  possa essere come il sole del mattino e che a tutti noi, prigionieri di mille preoccupazioni, le più diverse, sia dato nuovamente di   sorridere.
Tanti auguri!

domenica 25 dicembre 2011

Lavoro estivo




Quando frequentavo la scuola, durante le vacanze estive, per racimolare qualche soldo per pagare i libri, per un paio di estati, sono andato a lavorare in una colonìa del Demanio dello Stato.
Erano altri anni, perché non ricordo di aver mai trovato nessun documento della Previdenza Sociale relativo a quei mesi di lavoro, non so come venissero valutati ai fini previdenziali, sul mio libretto di lavoro non risultano, pertanto credo si trattasse di lavoro nero e il datore di lavoro era lo Stato; decisamente altri anni.
La prima volta si era trattato della raccolta del fieno in una fattoria tra le montagne, partivo da casa all'alba, circa cinque km a piedi fino alla fermata del pullman verso le sette arrivavo alla fattoria.
Non era un lavoro particolarmente pesante, poiché il grosso del lavoro consisteva nel
girare l'erba per seccarla bene, poi caricare il fieno sul trattore, la fattoria era all'avanguardia , all'epoca, come meccanizzazione.
L'estate successiva invece con diversi altri studenti, siamo stati impiegati dalla Guardia Forestale per fare delle piantagioni in alta montagna.

Il gruppo dei Monti del sole; a destra parte il sentiero che porta fino al picco al centro della foto, il pianoro avanti al picco è il sito dove si scavavano le buche, la costa del monte in secondo piano è il posto dove è avvenuto l'incontro con la biscia gigante.


Bisognava essere al punto di ritrovo alle sette di mattina, poi almeno un'ora di camminata (retribuita) per arrivare sul posto di lavoro in una zona che ancora al giorno d'oggi è rimasta selvaggia.
Era un sito dove abbondavano le vipere, difficilmente passava una giornata senza scorgerne nessuna.
Noi dovevamo scavare delle buche nel terreno sassoso, per mettere a dimora gli abeti.
Eravamo una quindicina di ragazzi giovani ed esuberanti, ci divertivamo come matti, ma il lavoro prodotto era scarso.
La quota pro capite di buche da scavare era di cinquanta , in teoria,eravamo controllati da una guardia forestale, per ogni buca completata si doveva urlare il numero perché l'agente della forestale sapesse quante ne avevamo ultimate, pertanto si urlava: uno, due, tre,sette, otto, quattordici, quindici, ventinove , in pratica dopo una quindicina di buche scavate, avevamo già chiamato tutti i numeri fino a cinquanta e la giornata di lavoro era finita, veramente qualche volta il forestale contestava il numero, ma un po' di contrattazione aggiustava tutto e contrattando si consentiva agli amici di sballare la loro numerazione distraendo il funzionario.
Un episodio mi è rimasto impresso: c'era un anziano agente della guardia forestale di nome Mosè che da una vita girava a controllare le montagne nei posti più impervi, sempre assieme al suo cane lupo; erano tutti e due di pelo rossiccio, il cane era un cacciatore acerrimo di vipere; durante la fienagione se era nelle vicinanze e vedeva qualcuno battere il rastrello per terra, arrivava come una saetta, perché sapeva che c'era una vipera e l'ho visto azzannarne parecchie, qualche volta era lui la vittima del rettile, ma se veniva morso, sonnecchiava un paio di giorni poi vispo come prima.
Dunque quel giorno arrivarono tutti e due dove stavamo lavorando, il forestale era molto agitato e stava male tanto da vomitare, era sconvolto, perché lungo il sentiero per arrivare da noi, aveva scorto un serpente di dimensioni enormi e benché fosse sempre armato il terrore l' aveva colto quando aveva visto il cane scappare uggiolando, e lui dietro in preda al panico.
Rimase con noi fino al termine della nostra giornata, da solo non aveva più il coraggio di tornare.
Al nostro ritorno ci siamo fermati dove lui asseriva di aver visto la biscia mostruosa, però noi non abbiamo visto niente, neanche i giorni successivi, conoscendo l'agente della forestale come uno che frequentava da anni le montagne più selvagge e con una profonda conoscenza delle stesse, cosa potesse aver visto resta un mistero, ma sicuramente qualcosa di terrificante aveva visto.

Periodicamente la cronaca narra di qualche incontro con serpenti di grosse dimensioni, generalmente nel greto dei fiumi; di solito sono pitoni oppure boa che qualche emigrante porta da paesi esotici come souvenir e quando raggiungono dimensioni considerevoli se ne libera con scarso senso civico, difficilmente questi animali tropicali sopravvivono ai rigori dell'inverno a condizione che non riescano a trovare qualche tana riscaldata, magari dove passano tubi di acqua calda, come è realmente accaduto qualche anno fa.
A distanza di decenni non mi è mai giunta voce, che nel sito dove Mosè aveva visto il rettile gigante, qualcuno avesse visto qualcosa di simile, ma sono montagne pochissimo frequentate, aspre, selvagge e di scarso interesse panoramico.
Si chiamano Monti del sole.

lunedì 19 dicembre 2011

gli alberi e il tempo



Quando, girando per i boschi, passo sotto una pianta secolare, mi fermo e ho la sensazione di qualcosa di misterioso che mi avvolge.


Sotto i vecchi rami, mi sento protetto, e sereno, poi, sento il fluire del tempo che mi attraversa.


Sento che là è rimasta un po' dell' anima di tutti coloro che nel corso dei secoli si sono soffermati all'ombra della pianta e, forse nessuno lo sa, ma la pianta assorbe e imprigiona il tuo stato d'animo, le tue speranze, i tuoi dispiaceri e le tue gioie e senza bisogno di parole.


La pianta maestosa, ha visto nel corso di molti secoli il susseguirsi di eserciti che portavano fame , distruzione e dolore.
Ha visto il ciclico arrivo di epidemie che facevano strage di interi popoli e spesso, queste malattie erano al seguito degli eserciti.


Ha visto il trascorrere di anni buoni e meno buoni , condizioni atmosferiche avverse ed altre positive per i raccolti.


Tra i suoi rami milioni di uccelli si sono posati e hanno nidificato, trillando a tutto spiano all'arrivo di centinaia di primavere rallegrando il viandante.


La pianta trattiene anche il chiasso di molte generazioni di fanciulli che sotto le fronde o arrampicandosi sui rami hanno passato dei momenti felici.


Nell'essenza della pianta, sono rimasti anche i sussurri , i sospiri e i palpiti dei giovani che si affacciavano alla vita adulta e protetti dall'albero si scambiavano le prime tenerezze.


Nella ruvida scorza è rimasto anche il dolore di colui che è dovuto partire per cercare un futuro migliore per la sua famiglia e prima di andare, inconsapevolmente passa per un ultimo saluto all'albero magico; è racchiuso anche il dolore di chi ha perduto una parte della sua anima con la morte di una persona cara e in solitudine si avvicina alla pianta in cerca di conforto e non si rende conto che la pianta sa e capisce e trattiene.


Tutte queste sensazioni le sento sprigionare sotto le fronde dell'albero centenario; e quando una pianta così viene abbattuta, sento che con la sua morte se ne va anche un po' di storia dell'umanità intera e la linfa che continua a scorrere mi rende partecipe dell'essenza dell'albero che se ne va per sempre e con la linfa, anche tutti i dolori e le speranze e i ricordi che erano imprigionati e muoiono definitivamente, dopo decine e decine di anni dalla loro sepoltura, anche le persone che alla pianta avevano aperto il loro cuore.


Dedico queste righe a tutti gli amici che amano e rispettano la natura.

mercoledì 14 dicembre 2011

la raccolta della legna

Altra riproposizione







Nelle maggior parte delle abitazioni delle Alpi Venete, fino agli anni sessanta ed oltre, il combustibile utilizzato per il riscaldamento e per cucinare, era costituito dalla legna.





L' approvvigionamento della legna, cominciava a primavera, quando, generalmente dopo Pasqua, la neve si scioglieva e consentiva il ritorno nei boschi .
Alla fine dell'inverno, nei boschi di larice, nei terreni di proprietà del Comune, cominciava la raccolta de rami secchi caduti sotto il peso della neve o dalle torsioni dovute al vento marzolino.
A primavera inoltrata, prima dell'inizio della fienagione, il Comune distribuiva alla popolazione
le ramaglie e gli spezzoni dei tronchi che rimanevano dopo la vendita alle segherie dei lotti di larice.
La vendita dei larici e degli abeti era , credo, la forma principale di finanziamento per le necessità del Comune e dopo che in autunno erano stati asportati i tronchi, la guardia comunale, per sorteggio, assegnava, (" la consegna", come era chiamata), degli appezzamenti e si procedeva al recupero dei residui delle piante abbattute.
Fortunata era quella famiglia che aveva il suo appezzamento comodo per il trasporto, il quantitativo di legna assegnato era, invece, abbastanza equilibrato per tutti.
Dopo l'assegnazione, la legna doveva essere trasportata presso le abitazioni, allora bisognava tagliare i tronchi nella misura giusta per il trasporto, bisognava fare le fascine con i rami e poi bisognava pulire il terreno ammucchiando gli scarti intrasportabili che poi degradando sarebbero serviti come fertilizzante per il bosco.
I tronchi tagliati della misura di circa un metro e mezzo erano chiamati "bore o spèlte" e venivano trascinati o caricati su uno slittone fino al posto chiamato "boral".
Il "boral" era , di solito, il greto scavato da un ruscello che precipitava a valle e in questo greto, venivano fatti precipitare i tronchi; questo era un lavoro pericoloso, poiché lungo il percorso dovevano esserci delle persone per disincagliare le "bore" che si incastravano negli anfratti, perché, altrimenti, avrebbero bloccato tutte le altre che venivano buttate in basso e assieme ai tronchi, spesso precipitavano anche i massi che venivano divelti e le traiettorie dei massi erano imprevedibili.
Le fascine, invece venivano portate con degli slittoni




trainati a forza di braccia e anche per quest' operazione bisognava avere una certa pratica, particolarmente quando si scendeva lungo i pendii e bisognava fare attenzione che il carico non prendesse troppa velocità e non si sbilanciasse altrimenti il risultato era , nel minore dei mali, che il carico si sfasciava e bisognava poi raccogliere tutto e riconfezionare le fascine e nel peggiore dei casi si sfasciava lo slittone e oltre al danno economico, veniva anche a mancare lo strumento di lavoro.
L'abilità, in questo trasporto, consisteva nel lasciare scendere la slitta alla velocità più elevata possibile, così l'abbrivio consentiva di superare senza fatica le eventuali controppendenze incontrate, inoltre bisognava capire come le asperità del declivio avrebbero sbilanciato la slitta e contrastare lo sbilanciamento con una opportuna pressione sulle stanghe di guida.
Scaricato il legname, bisognava ricaricarsi lo slittone sulle spalle e tornare in alto per un nuovo carico e così via per più giorni fino a conclusione del trasporto.
In quel periodo il bosco era molto bello, le radure erano color verde smeraldo, le chiome dei faggi di un verde tenero, qua e là nel verde, chiazze bianche di mughetti e rosa dei rododendri ,mentre il bosco era tutto un trillare di uccelli sovrastato dal canto del cuculo, a volte si intravvedeva anche qualche famigliola di caprioli che venivano a curiosare.
Portata la legna a casa, l'operazione successiva, consistava nel tagliare i tronchi della misura giusta per la cucina economica, prima si tagliava la legna con la sega a mano in pezzi lunghi poco più di una trentina di centimetri, successivamente, con l' accetta, si suddividevano spaccandoli in quattro o cinque pezzi.
Tutti questi pezzi di legna, venivano poi accatastati con cura in posti riparati dalle intemperie così si seccavano ed erano pronti per l'autunno.
Anche in autunno veniva fatta una nuova provvista di legna e questa volta nei boschi di proprietà.
Normalmente la legna tagliata in autunno era più pregiata , di solito era legno di faggio, acero o rovere che come combustibile era più pregiato.
Si provvedeva all'abbattimento delle piante, rigorosamente in fase di luna calante, altrimenti la legna non si sarebbe mai seccata bene; dopo l' abbattimento ( a me spiaceva sempre veder morire degli alberi secolari, ma, a quei tempi, la legna era indispensabile per vivere in montagna),





le operazioni continuavano così come si faceva in primavera.
In autunno il quantitativo di legna tagliata era tale da servire per due o tre anni, me se i boschi di proprietà erano molto distanti , ( a volte anche nel territorio di altri comuni), allora per diluire i costi di trasporto, si tagliava tutta la legna possibile e se il bosco era in montagna , si installava una teleferica fino alla strada, magari suddividendo il costo fra più famiglie.
La teleferica, per i bambini, era un evento straordinario, perché i tronchi scendevano velocissimi con un sibilo che diveniva sempre più forte con l'avvicinarsi del carico e poi il boato finale quando il carico si schiantava contro la catasta di copertoni messi ad ammortizzare il colpo.
Col passare degli anni, sempre meno importante è diventata la raccolta della legna, sostituita dal gas, dal gasolio, dal cherosene  e dai pellets, ma il ceppo sul focolare o la cucina economica, emanavano un altro calore.


venerdì 9 dicembre 2011

libertà assoluta, mentre le vacche pascolano

Continuo con la riproposizione di ricordi sconclusionati

Fra i ricordi più belli della mia vita ci sono le estati passate nei boschi e nelle radure portando al pascolo le vacche;  questo era un compito  affidato ai ragazzi.
Si partiva verso le otto dal paese per raggiungere le "casere" nel bosco.
Tutti i ragazzi portavano a tracolla una borsa di stoffa che conteneva un paio di panini per il pranzo di mezzogiorno e si raggiungevano le stalle


dove le mucche erano già state munte ed abbeverate  di prima mattina e prima di incontrarci tutti nella radura dove era il punto di concentramento, si provvedeva a spalmare del grasso rancido sulle mammelle delle mucche, altrimenti sarebbero state per tutta la giornata assediate da una nuvola di tafani che sulla pelle delicata avrebbero punto per succhiare il sangue con grosso tormento per le povere bestie, invece il grasso rancido funzionava da repellente contro i tafani.

La mia famiglia non aveva la mucca, così mi aggregavo agli altri ragazzi per passare tutte le belle giornate dell'estate a giocare nei boschi in assoluta libertà e, inoltre, io ero fortunato, perché non avevo la responsabilità del capitale costituito da una mucca.

Si radunava la mandria su un pianoro e poi i più grandicelli decidevano quale era la meta per la giornata e pian pianino ci si avviava in quella direzione al passo lento delle vacche accompagnati dal suono dei campanacci che distinguevano le varie mucche.

Quando si raggiungeva la meta, cominciavano i giochi e non c'era limite alla fantasia.

In una prateria, avevamo deviato l'acqua di un ruscello, poi con le mani e i bastoni per parecchi giorni, abbiamo scavato il terreno in quel punto non sassoso e di terra soffice; lo scavo era diventato profondo almeno una settantina di centimetri e con un diametro di tre, quattro metri ed era diventato "il lago di Versegala" dal nome della località.

Ci sono ritornato l'estate scorsa, dopo oltre mezzo secolo e ancora si vedevano i contorni della nostra pozzanghera scavata un' estate di tanti anni fa e ancora sentivo le voci dei ragazzi di allora e ricordavo i bisticci e piccoli episodi di allora ancora vividi, diverse di quelle voci, ormai sono silenziose per sempre.

In un' altra località si giocava alla guerra fra degli enormi massi misteriosi, lasciati dai ghiacciai di qualche millennio fa.

Ricordo che la parte più umida di quei massi era ricoperta di delicato muschio e fra il muschio correva la radice di una felce che aveva un delicato sapore di liquerizia.

Tutti i ragazzi erano muniti di temperino e uno dei passatempi più in voga, consisteva nell'intagliare dei bastoni di nocciolo.

Si praticavano due tagli paralleli a tre millimetri circa di distanza e della profondità della scorza, questi intagli, potevano essere dei circoli da cui alternativamente si prelevava la scorza, oppure delle serpentine, o delle striscie verticali, ( molto più difficili da realizzare), o dei quadratini come una scacchiera.

Poi questi bastoni venivano lasciati nel caldo umido delle stalle, la scorza rimasta si seccava ed assumeva un bel colore bruno, qualcuno particolarmente abile, riusciva anche ad intagliare delle teste alla sommità del bastone, creando dei piccoli capolavori.

Ogni tanto bisognava controllare che le vacche non si fossero allontanate troppo
e rimanessero vicine, per localizzarle si conosceva il suono dei vari campanacci, poi si conoscevano anche le caratteristiche di ogni animale, ricordo che c'era una mucca (la Galéda si chiamava) la quale non tollerava qualcuno che le passasse davanti e se qualche imprudente lo faceva la vacca lo caricava a testa bassa, allora bisognava darsi alla fuga e riparare dietro una pianta, a volte lo facevamo per gioco, anche se il proprietario non era troppo d'accordo, perché, diceva, che la sera alla mungitura la produzione di latte era più scarsa.

Invece il divertimento vero, quando passava qualche villeggiante che ci guardavamo bene dall' avvisare e la "Galéda" caricava costringendo il malcapitato alla fuga.

Eravamo però abbastanza maturi da intervenire a distrarre la vacca in caso di pericolo.

Poi al seguito c'era anche un montone e ci eravamo accorti che bastava grattarlo in fronte ed il montone abbassava la testa e partiva alla carica sempre dritto, allora il gioco consisteva nel posizionare il montone a una decina di metri da un albero, una grattata e viaaaa... si vinceva quando il montone centrava con la testa  il tronco dell'albero.

Ho avuto una discussione con un' amica, la quale nel suo blog affermava che bisogna andare avanti sempre dritti e io sostenevo che non sempre è conveniente, memore del montone, credo che anche nella vita, non sempre è opportuno avanti dritto.

Queste righe sono una piccole parte della giovinezza nei boschi, episodi da raccontare sarebbero innumerevoli, dalle scorpacciate di frutti di bosco, ai furiosi temporali che si scatenavano nel pomeriggio, alle sigarette che allora vendevano anche sciolte in una caratteristica bustina, tre Nazionali per dieci lire e fumate di nascosto, poi i fiori, i funghi, gli animali selvatici, i nidi di vespa nel terreno che qualcuno andava sempre a tormentare con un bastone e ogni sera qualche altro ritornava a casa con un occhio chiuso dal gonfiore, chissà perché le vespe beccavano sempre vicino agli occhi e lo shock anafilattico era sconosciuto, poiché difficilmente passava giorno senza una vittima delle vespe, ma nessuno è mai deceduto.

Nel pomeriggio, le mucche si avviavano verso le stalle come se avessero un orologio incorporato e in prossimità delle stalle venivano abbeverate,  le mamme provvedevano alla mungitura e noi ragazzi, stanchi per le tante ore  trascorse all'aria aperta, ritornavamo in paese, pronti per la mattina seguente ad un'altra giornata ricca di avventure.