domenica 25 dicembre 2011

Lavoro estivo




Quando frequentavo la scuola, durante le vacanze estive, per racimolare qualche soldo per pagare i libri, per un paio di estati, sono andato a lavorare in una colonìa del Demanio dello Stato.
Erano altri anni, perché non ricordo di aver mai trovato nessun documento della Previdenza Sociale relativo a quei mesi di lavoro, non so come venissero valutati ai fini previdenziali, sul mio libretto di lavoro non risultano, pertanto credo si trattasse di lavoro nero e il datore di lavoro era lo Stato; decisamente altri anni.
La prima volta si era trattato della raccolta del fieno in una fattoria tra le montagne, partivo da casa all'alba, circa cinque km a piedi fino alla fermata del pullman verso le sette arrivavo alla fattoria.
Non era un lavoro particolarmente pesante, poiché il grosso del lavoro consisteva nel
girare l'erba per seccarla bene, poi caricare il fieno sul trattore, la fattoria era all'avanguardia , all'epoca, come meccanizzazione.
L'estate successiva invece con diversi altri studenti, siamo stati impiegati dalla Guardia Forestale per fare delle piantagioni in alta montagna.

Il gruppo dei Monti del sole; a destra parte il sentiero che porta fino al picco al centro della foto, il pianoro avanti al picco è il sito dove si scavavano le buche, la costa del monte in secondo piano è il posto dove è avvenuto l'incontro con la biscia gigante.


Bisognava essere al punto di ritrovo alle sette di mattina, poi almeno un'ora di camminata (retribuita) per arrivare sul posto di lavoro in una zona che ancora al giorno d'oggi è rimasta selvaggia.
Era un sito dove abbondavano le vipere, difficilmente passava una giornata senza scorgerne nessuna.
Noi dovevamo scavare delle buche nel terreno sassoso, per mettere a dimora gli abeti.
Eravamo una quindicina di ragazzi giovani ed esuberanti, ci divertivamo come matti, ma il lavoro prodotto era scarso.
La quota pro capite di buche da scavare era di cinquanta , in teoria,eravamo controllati da una guardia forestale, per ogni buca completata si doveva urlare il numero perché l'agente della forestale sapesse quante ne avevamo ultimate, pertanto si urlava: uno, due, tre,sette, otto, quattordici, quindici, ventinove , in pratica dopo una quindicina di buche scavate, avevamo già chiamato tutti i numeri fino a cinquanta e la giornata di lavoro era finita, veramente qualche volta il forestale contestava il numero, ma un po' di contrattazione aggiustava tutto e contrattando si consentiva agli amici di sballare la loro numerazione distraendo il funzionario.
Un episodio mi è rimasto impresso: c'era un anziano agente della guardia forestale di nome Mosè che da una vita girava a controllare le montagne nei posti più impervi, sempre assieme al suo cane lupo; erano tutti e due di pelo rossiccio, il cane era un cacciatore acerrimo di vipere; durante la fienagione se era nelle vicinanze e vedeva qualcuno battere il rastrello per terra, arrivava come una saetta, perché sapeva che c'era una vipera e l'ho visto azzannarne parecchie, qualche volta era lui la vittima del rettile, ma se veniva morso, sonnecchiava un paio di giorni poi vispo come prima.
Dunque quel giorno arrivarono tutti e due dove stavamo lavorando, il forestale era molto agitato e stava male tanto da vomitare, era sconvolto, perché lungo il sentiero per arrivare da noi, aveva scorto un serpente di dimensioni enormi e benché fosse sempre armato il terrore l' aveva colto quando aveva visto il cane scappare uggiolando, e lui dietro in preda al panico.
Rimase con noi fino al termine della nostra giornata, da solo non aveva più il coraggio di tornare.
Al nostro ritorno ci siamo fermati dove lui asseriva di aver visto la biscia mostruosa, però noi non abbiamo visto niente, neanche i giorni successivi, conoscendo l'agente della forestale come uno che frequentava da anni le montagne più selvagge e con una profonda conoscenza delle stesse, cosa potesse aver visto resta un mistero, ma sicuramente qualcosa di terrificante aveva visto.

Periodicamente la cronaca narra di qualche incontro con serpenti di grosse dimensioni, generalmente nel greto dei fiumi; di solito sono pitoni oppure boa che qualche emigrante porta da paesi esotici come souvenir e quando raggiungono dimensioni considerevoli se ne libera con scarso senso civico, difficilmente questi animali tropicali sopravvivono ai rigori dell'inverno a condizione che non riescano a trovare qualche tana riscaldata, magari dove passano tubi di acqua calda, come è realmente accaduto qualche anno fa.
A distanza di decenni non mi è mai giunta voce, che nel sito dove Mosè aveva visto il rettile gigante, qualcuno avesse visto qualcosa di simile, ma sono montagne pochissimo frequentate, aspre, selvagge e di scarso interesse panoramico.
Si chiamano Monti del sole.

6 commenti:

Adriano Maini ha detto...

E quanta vena lirica, anche, per i luoghi a te cari! Ri-auguroni!

rosso vermiglio ha detto...

Caspita! Mi hai messo un pò di paura...io vado sempre a cuor leggero in montagna, ma forse un pò più di attenzione, nel ricordare che ci sono le vipere, dovrei metterla.
Spero di ricordarmelo la prossima estate...
Un caro saluto

Lara ha detto...

Concordo con Adriano.
I tuoi ricordi sono intrisi di poesia, anche quando parli di vipere:)
Grazie sempre per le tue condivisioni, caro Sileno!
Ciao,
Lara

olgited ha detto...

Eh sì,la vita un tempo non era facile come ora,bei ricordi.Buona giornata.

riri ha detto...

Il nome è già una poesia..monti da esplorare, caro Sileno quando racconti di te passeggio da quelle parti:-) ed è bello.Buona giornata.

accantoalcamino ha detto...

Quanto mi piace passare di qua e leggerti!!! Ciao.