Ripropongo un post di qualche tempo fa.
Ho frequentato le scuole elementari in un paesino della montagna veneta.
Il ricordo dei primi due anni di frequentazione è abbastanza labile, (gli anni incidono la memoria), la maestra la ricordo come una persona anziana, un po' altera e severa che non disdegnava di darci qualche botta sulle dita col righello.
Il primo giorno di scuola mi è rimasto abbastanza impresso, perché una bimba, forse intimidita dall'ambiente nuovo e severo, si era fatta la pipì addosso e a causa di questo episodio è stata oggetto per molti anni delle nostre prese in giro.
L'aula era vasta, ma forse le proporzioni variavano rispetto la nostra statura; il riscaldamento era fornito da una stufa di mattoni e per la legna, come ho già scritto in un altro post, a primavera tutti i genitori degli scolari dovevano recarsi nel lotto assegnato dalla guardia comunale, tagliare la legna, normalmente rami di larice e portarla alla scuola coadiuvati dai bambini.
Questo era un servizio prestato gratuitamente alla collettività ed aveva anche una valenza pedagogica, poiché già all'età di sei anni, capivamo la necessità di lavorare per il bene comune, era un principio di solidarietà che poi si è perso negli anni successivi quando sopraggiunsero gli anni del boom economico.
In terza elementare cambiai la maestra, anche questa era anziana tanto che agli inizi della carriera scolastica era stata anche l'insegnante di mio zio che ora sarebbe quasi centenario.
Questa maestra stravedeva nei miei confronti, raccontando in più occasioni che ero stato il più intelligente che aveva avuto come allievo nella sua carriera, non vedo i motivi di questa considerazione, a parte un tema lunghissimo di una ventina di pagine, per il resto sono sempre stato nella media e anche con una resa bassa.
Forse l'episodio che l'aveva colpita particolarmente, è riferito ad una poesia intitolata: "la fragola", ignoro il nome dell'autore, ricordo un verso che faceva riferimento ai "colli pistoiesi", la maestra voleva che si sostituisse il termine "pistoiesi" con un termine più attinente ai nostri luoghi e che conservasse la rima, mentre tutta la classe ponzava, a me era venuta immediatamente la sostituzione di "pistoiesi" con "bellunesi", ma mi sembrava troppo facile e poi volevo comprendesse tutte le Alpi e trasformai "pistoiesi" in "alpinesi" anche se sapevo che non era corretto, ma l'insegnante non fu di questo parere e fu così che probabilmente raggiunsi alti picchi, immeritati, nella sua considerazione.
Il maestro di IV e poi di V era un personaggio particolare, lo ricordo con i baffetti e la capigliatura alla Hitler, magro, zoppo causa poliomielite e costretto ad appoggiarsi ad un bastone che mai usò come minaccia nei nostri confronti, anche se qualche volta l'avremmo meritato.
La malattia avuta da bambino, probabilmente fu per lui una fortuna, perché ebbe l'occasione di studiare e poi la garanzia di un posto di lavoro di gran prestigio come insegnante, mentre il futuro di tutti i suoi coetanei era molto più duro, già all'età di otto anni erano costretti a partire a primavera per lavorare come seggiolai ambulanti, dormire su di un carretto nella paglia, solo quando erano fortunati, trovavano qualche anima buona che consentiva loro di dormire nei fienili e poi umiliazioni, fame, nostalgia, però sempre di grande dignità ed onestà nonostante la miseria.
Di queste persone, penso che troverò modo di scrivere.
Ritornando al maestro direi che era un grande affabulatore, anche se qualche caduta culturale si verificava ad esempio le piramidi d'Egitto secondo lui erano: di Cheope, di Chefrem e di Chisimaio, solo anni dopo ho scoperto che Kisimajo non era il nome di una piramide, ma era una città della Somalia, invece la piramide era di Mikerinos e l'altra di Kefren e non di Chefrem, ma la parola del maestro a quei tempi era verità assoluta.
Il suo pezzo forte era il racconto dei "Miserabili" di Victor Hugo, anche se spesso non ricordava più il nome del protagonista e allora gli dava un nome di fantasia.
In rare occasioni, arrivava a scuola dopo qualche bicchiere di troppo, e quel giorno era una tragedia, seduto impalato sulla sedia, non proferiva parola e non ammetteva che da parte nostra ci fosse il minimo rumore, ogni tanto qualcuno si metteva a ridacchiare allora smorzava il malcapitato con un perentorio : "giovanotto!" oppure "signorina!" e poi silenzio assoluto.
Negli altri giorni , invece , ogni tanto interrompeva lo studio per raccontarci le sue avventure giovanili, in particolare le montagne che ci circondavano erano state traforate durante le due guerre con gallerie scavate a difesa di eventuali invasioni nemiche, ( poi quando nel 1917 veramente accade, non servirono a niente e nemmeno quelle scavate dai tedeschi nella seconda guerra).
La seconda guerra mondiale era terminata da pochi anni ai tempi della nostra frequentazione scolastica ed era ancora viva nei ricordi di coloro che avevano qualche anno più di noi.
In queste gallerie, secondo il racconto del maestro, si trovavano ancora dei grossi depositi di armi e materiale bellico; e sempre secondo il suo racconto, alcune di queste gallerie erano allagate ed il maestro le esplorava a cavalcioni di tronco d'albero, nel buio assoluto rotto al massimo da una candela o un ramo resinoso acceso , mentre lui in questo labirinto si muoveva come nel cortile di casa sua con indomito coraggio, mai abbiamo pensato che con la sua infermità non era in grado nemmeno di salire il campanile della chiesa, ma chi poteva dubitare della parola del maestro?
Queste gallerie le ho esplorate in questi ultimi tre anni con un gruppo di amici con i quali è in corso una ricerca storica e non abbiamo mai dovuto cavalcare tronchi per attraversare tratti allagati, ma c'erano tante curve e tante scalinate, qualche rarissima voragine e molte dolorose zuccate contro le rocce, certo non usavamo candele e nemmeno torce a resina, in ogni caso in molti punti ci sono delle correnti d'aria così forti che non consentirebbero candele accese.
Di quelli anni di scuola ricordo bene, la camicia di cotone nero con l'indicazione della classe frequentata scritta in numeri romani con delle fettuccine bianche cucite sulla manica sinistra come i gradi dei militari,
ricordo i banchi di legno a due posti, con i calamai per l'inchiostro e gli intagli di molte annate di scolari a cui contribuimmo anche noi, di nascosto, usando i temperini.
L'odore dei libri nuovi, i quaderni con le copertine nere e le tabelline sulla penultima pagina, lo stridere del gesso sulla lavagna, le macchie d'inchiostro e i pennini che avevano la cattiva abitudine di "sforcellarsi" si diceva in dialetto, cioè divaricarsi e scrivere male, la carta assorbente, poi il formaggio giallo della refezione tolto da barattoli con la scritta: "Dono del Popolo Americano degli Stati Uniti", le cartelle erano costituite da una scatola di cartone robusto di colore tra il giallastro e il mattone, munite di due cerniera per aprire la parte superiore da cui si estraevano i quaderni ed i libri, una cinghia per portarle a tracolla e in un triangolo la scritta "pura fibra" e le liti furibonde con i compagni per rivendicare di possedere la cartella di miglior qualità: "perché la mia è pura fibra" si diceva, invece erano tutte uguali, nuove all'inizio dell'anno e poi alla prima neve servivano egregiamente da surrogato allo slittino, anche se si sfasciavano presto e poi a casa sberle!
Qualche famiglia non poteva permettersi neppure la cartella di cartone e in tal caso, veniva sostituita da una borsa di stoffa con tracolla, cucita dalla madre, recuperando, normalmente, il fustagno di un paio di pantaloni vecchi e sbrindellati.
Ricordo gli sguardi furtivi dalle finestre, quando alla fine di novembre i prati erano imbiancati dalla prima neve e si pregustavano le uscite pomeridiane con la slitta, le prime discese folli dai pendii innevati, le prime di una lunga stagione invernale quando la neve cadeva in abbondanza.
Alla fine di tutta la storia, credo che la formazione scolastica, sia stata buona
e ci sia servita da trampolino per un futuro migliore di quello che era toccato ai nostri genitori.
9 commenti:
che bei tempi quelli!
ciao
Secondo me, invece, oltre al dono dello scrivere, hai anche quello della memoria. Dovrei aggiungere che hai avuto in più la ventura di vivere fatti degni di essere tramandati, ma penso che a molti di loro avresti rinunciato e rinunceresti volentieri. Un'altra cosa notevole é il tuo archivio di fotografie.
Io la cartella di cartone la conservo ancora.Però come scolara ero una piccola peste,anche perchè alle elemantari per vari motivi cambiai tre scuole.
Eri un bel banbino non c'è che dire.
Ciao Sileno e Buona Pasqua.
Hai descritto benissimo caro Sileno.Bello leggere dei tempi passati,mi piace molto il tuo blog.Ti auguro una serena Pasqua.
Una volta di più, leggendoti, mi chiedo se davvero con il tempo è migliorato tutto e non sia invece il contrario.
Quel coinvolgimento degli scolari che assieme alle famiglie partecipavano al riscaldamento della scuola, per me è una lezione di alta pedagogia.
Grazie Sileno,
Lara
E io del 1991...?
Concordo con Adriano Maini. Leggerti mi commuove sempre. E mi chiedo anche io se il passato abbia un fascino particolare ,perché poi il resto è stato fin troppo veloce e privo di tanta genuinità e semplicità.
Riguardo all'ultima riflessione...non credo potranno dire lo stesso i nostri figli , o nipoti. Stiamo facendo grandi passi indietro e lasciamo ben poca speranza di un futuro migliore a chi ci sopravviverà
Ciao Sileno, i tempi erano diversi, più solidarietà..indubbiamente.
Tantissimi auguri di una buona Pasqua.
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