lunedì 23 aprile 2012

vacanze spagnole: Gitani

Qualche anno fa, passai le vacanze estive in una cittadina della Costa Dorada.
La Spagna mi ha sempre affascinato per la grande vitalità di quel popolo, per la fierezza e la gioia di vivere.
Altri aspetti, come la corrida, non li approvo anche se fanno parte della loro tradizione, purtroppo devo confessare che in quella vacanza in Plaza de toros a Barcellona ci sono andato anch'io.
Forse in quell'epoca il mio spirito animalista non era abbastanza affinato, inoltre ero un lettore affezionato di Ernest Hemingway e col senno di poi da Hemingway ero stato fuorviato, sarà stato sicuramente un grande scrittore, ma il suo modello di vita, a mio parere, non deve essere d'esempio.
Dopo aver visto umiliare, seviziare e uccidere sei tori, è per me motivo di vergogna aver assistito alla corrida.
Di fronte all' albergo in cui alloggiavo in quella cittadina della Costa Dorada,c'era uno dei tanti locali tipici spagnoli in cui si ballava il flamenco gestito da una gitana di nome Paquita, ci sono entrato la prima sera del soggiorno spagnolo assieme ad un amico che faceva parte del mio gruppo turistico.
Questo amico di nome A***, era in Spagna assieme alla figlia di dieci anni per un periodo di riflessione, in quanto il suo legame matrimoniale era traballante, poi A*** lo rividi qualche anno dopo alla televisione nel programma di Raiuno "10 anni della nostra vita" dove parlava proprio del suo matrimonio.
A*** era un giovane molto esuberante, che spargeva simpatia a prima vista, sempre sorridente e con un che di zingaresco nell'aspetto.
Allora, entrati in questo locale per gustare una sangria, A*** calamitò immediatamente l'attenzione, e data l'ora pomeridiana, non c'erano altri avventori nel locale così fu l'inizio di un' amicizia con Paquita e le tre ballerine di flamenco e, da quella sera, "da Paquita" divenne una tappa obbligatoria.
Il nostro tavolo accanto al palco era sempre riservato per noi e le ragazze, negli intervalli sedevano vicino a noi, ormai considerati amici.
E galeotto fu il locale e chi lo frequentò, tanto che scoccò la scintilla fra A*** e Juanita, una prosperosa ragazza gitana, dai lunghi capelli neri ondulati e dallo sguardo infuocato.
In questo legame si delineò un ostacolo rappresentato da un terzo incomodo, che era il fidanzato di Juanita destinato a lei dal suo clan fin dalla nascita, ci raccontò Juanita.
Questo ragazzo entrava nel locale tutte le sere verso mezzanotte accompagnato da un paio di amici, ma non sussistevano dubbi su chi fosse il leader del gruppetto.
Era, questo ragazzo, magro come un chiodo i folti capelli ondulati e di un nero acceso, le basette lunghe, lo sguardo altero e penetrante, sempre vestito di nero come certi pistoleros nei film western, un personaggio che intimidiva solo se ti sfiorava con lo sguardo, inoltre anche i suoi amici erano inqietanti.
Juanita ci raccontò la storia del suo fidanzamento, ma ci raccontò anche che il ragazzo era un "maricon"; ignoro se il termine maricon sia considerato offensivo, ma si capisce bene cosa significa quando anche il maricon s'innamorò di A***, e comiciò ad esserci tensione fra Juanita e il ragazzo con forte disagio da parte di A*** cui il maricon non interessava per niente.
Una sera dopo cena, io ed A*** entrammo in un bar sul lungomare per il caffé ed all'estremità del lungo bancone scorgemmo, nella penombra del locale, la presenza del maricon con i suoi amici, il maricon cominciò a fissare con insistenza A***; mentre noi consumavamo il caffé velocemente per allontanarci in fretta, entrò Juanita che venne a sedersi al nostro fianco con un gesto di sfida nei confronti dei maricones e cominciò un acceso diverbio fra i due fidanzati ufficiali, fatto di insulti, lui che rimproverava Juanita urlandole: "tu es sangre del my sangre" e lei che replicava: "tu es maricon", in mezzo noi due molto, molto a disagio.
Alla fine i maricones uscirono, noi accompagnammo Juanita al locale dove ballava e ritenemmo opportuno terminare la serata nel nostro albergo.
La mattina dopo, A*** mi raggiunse in spiaggia, raccontandomi che percorrendo la strada dall' albergo al mare, scorse il maricon solo ed appoggiato all' angolo di una casa, mi raccontò del brivido che gli percorse la schiena quando passò avanti al nero figuro e disse di aver già sentito la lama di un coltello infilarsi in profondità fra le costole, nulla accadde, ma per tutto il percorso sentì lo sguardo ustionante del maricon penetrargli nella schiena altrettanto bruciante della lama del coltello.
Fu la fine di un amore con la bella gitana, perché A*** non frequentò più il bar "da Paquita", io continuavo ad andarci tutte le sere con la mia famiglia, ( mio figlio, che all'epoca aveva una decina d'anni, aveva eroicamente cercato qualche sera di resistere al sonno per vedere i maricones, ma il sonno aveva sempre vinto).
Alla fine della vacanza, l'utima sera, assieme a mia moglie, passammo per salutare, ma il locale era chiuso.
Quando dall'interno ci videro, aprirono la porta per farci entrare, poiché avevano chiuso per festeggiare il compleanno di Juanita e noi eravamo graditi ospiti. Ebbi così l'occasione di passare una serata in allegria assieme a tutti i gitani ( il maricon non c'era) e per me e mia moglie fu un grandissimo onore come unici non gitani  presenti.
Ho spesso pensato a Juanita e ancora oggi, quando vedo ballare il flamenco, guardo sempre le ballerine sperando di scorgere Juanita, che riconoscerei ancora fra mille senza alcun dubbio.

lunedì 16 aprile 2012

maggiociondolo



Il "maggiociondolo", o "laburnum anagyroides" pianta molto velenosa, appartiene alla famiglia delle "leguminosae", è un arbusto alto dai quattro ai sei metri che cresce ai margini delle radure in posizione soleggiata fino verso i 2.000 m/slm.
La corteccia è liscia di colore bruno-verdaceo, le foglie sono elittiche e da maggio a giugno si ricopre di grappoli di fiori color oro,





questi grappoli di fiori ricordano le fioriture del glicine, i frutti del maggiociondolo si sviluppano in baccelli e come tutte le parti della pianta contengono la "citisina" dal forte potere venefico.
Il maggiociondolo nelle Prealpi bellunesi, viene adoperato come siepe di confine fra le varie proprietà, il legno durissimo di elevato potere calorico si usa come legna da ardere, per le sue caratteristiche di durezza, si utilizza per fabbricare i denti dei rastrelli,

ed inoltre per costruire strumenti musicali a fiato;
si utilizzava anche al posto dei chiodi per legare le travi e le coperture dei tetti.
Per la sua flessibilità, veniva usato per costruire la cavezze (anelli di legno elittici) da mettere al collo delle vacche e delle capre.

Le piante di maggiociondolo dotate di un esteso sviluppo radicale, si usavano pure, per consolidare le scarpate e i pendii ripidi.


lunedì 9 aprile 2012

il monello

Anche questo post  era  già stato pubblicato; nel post precedente parlando di chierichetti, specificavo che Bertrand Russel, nella mia adolescenza, mi aveva indicato altri orizzonti da seguire, ma forse i germogli per il mio allontanamento dalle tonache nere  si erano rafforzati in epoche precedenti:

La sete di leggere non si placava mai già dai tempi che frequentavo le scuole elementari, qualsiasi pezzo di carta trovassi, era per me sempre una scoperta che leggevo avidamente e anche poche righe mi insegnavano qualcosa.


A quei tempi di soldi ne giravano pochi, però in casa qualche giornale arrivava; tutte le settimane "la Domenica del Corriere" 




con le copertine di colore grigio-azzurro infarcite di pubblicità e di quelle pubblicità ricordo oltre ai vari elisir miracolosi buoni per ogni occasione, ricordo i corsi  di scuole per corrispondenza, i corsi di ju jitsu dal nome  e finalità misteriose, infine gli occhiali che consentivano di vedere il corpo delle donne attraverso  gli abiti, occhiali che stranamente nessuno riuscì mai ad avere in mano.


All'interno , sulla seconda e sulla penultima pagina le illustrazioni  a colori di Walter Molino, che raffiguravano qualche episodio particolare accaduto nell'ultima settimana, episodi illustrati con un realismo impressionante.


All'interno articoli e rubriche di vario genere che sicuramente in quegli anni, sono serviti ad elevare notevolmente il livello culturale del popolo italiano


In casa arrivavano saltuariamente  altri giornali a volte "Famiglia Cristiana", oppure prestati da amiche di mia madre,  i fotoromanzi come "Grand Hotel"




o "Bolero" altri giornali che trattavano di  novelle sentimentali, altre riviste  oppure "Oggi" e "Gente"  specializzate a raccontare i pettegolezzi inerenti alle varie stelle del cinema dell'epoca o principesse reali, in particolare Beatrice di Savoia e Farah Diba che aveva sostituito Soraya sul trono dello Shah di Persia  e contro questi giornali quasi tutte le domeniche, il prete predicava che quella stampa disgregava le famiglie, ( e forse non aveva tutti i torti vista la qualità di molte di quelle riviste, ma dalla miseria si evadeva per qualche attimo  anche con i sogni).
 Sulla parete della bussola che dava accesso alla chiesa, un manifesto riportava la classificazione della stampa secondo il clero.


Ricordo la stampa consigliata per i bambini: tutti giornali e fumetti editi dalle edizioni Paoline, oppure altre editrici clericali, fra i consigliati ricordo "il Vittorioso" e  "Capitan Walter".


Fra i giornali per " bambini con riserva": "L'Intrepido" e "Il Monello", poi c'era la stampa proibita anche per i bambini, ma non ricordo titoli, poiché in paese non venivano venduti.


Il mio giornale preferito era "L'Intrepido" 




che il mio vecchio acquistava e leggeva nei periodi morti durante le notti che passava  come guardia alla miniera, poi lo leggevo io, era la mia finestra sul mondo dell' avventura e il mio eroe preferito era Roland Eagle 




che girava gli oceani misteriosi sul suo brigantino assieme alla fidanzata Jasmine e al nostromo Machete.


Qualche amico, ogni tanto, mi passava qualche altro fumetto come Il Monello, il piccolo sceriffo, Black, Topolino, Nembo Kid ed altri.


Credo di aver avuto 11 o 12 anni quando una domenica pomeriggio  mi stavo recando alla chiesa, che era il punto di ritrovo dei pomeriggi festivi per tutti i ragazzi.
 Lungo la strada incontro il carrettino dei gelati, stranamente avevo in tasca 10 lire, forse il regalo di qualche parente e con le 10 lire mi comperai un cono di gelato, il gelataio assieme al gelato mi regalò una copia de " Il Monello" che aveva appena terminato di leggere.


Con quel tesoro, che valeva ben 30 lire, arrivai alla chiesa tutto felice pregustando la lettura inaspettata dei fumetti e seduto su una panchina un po' defilata, mentre gli altri ragazzi giocavano e schiamazzavano allegramente, mi immersi nelle prime pagine del mio tesoro, ma non andai molto avanti, perché un'ombra nera  mi si parò davanti: era il prete, ( che aveva sostituito il vecchio parroco), e mi chiese bruscamente: Cosa stai leggendo?
E mi tolse di mano il mio tesoro, poi vedendo che si trattava di stampa classificata "per bambini con riserva", mi redarguì perché leggevo stampa proibita; ricordo ancora che in quell'assolato pomeriggio estivo, gli altri bambini si zittirono e il prete cavò
un accendino dalla tonaca e davanti a tutti, tenendo con due dita il mio giornale lo incendiò e lo fece bruciare tutto.
Molti anni sono trascorsi da quell'episodio, ma ricordo ancora il profondo senso di ingiustizia e di umiliazione e probabilmente quello  è stato il primo passo che mi ha portato a fare altre scelte nella vita.


venerdì 6 aprile 2012

Chierichetto

Proseguendo la strada delle riproposizioni:






Nel paese in quegli anni lontani, quasi tutti i bambini facevano l'esperienza del chierichetto, il parroco, nei paesi, era una delle massime autorità e il dispensatore della cultura.


Il parroco della mia infanzia era molto vecchio,




mingherlino e di grande abilità manuale, conservo ancora degli oggetti artigianali in legno da lui costruiti.


Lo ricordo in bicicletta in giro per il paese con le sue pesanti tonache svolazzanti e il tricorno in testa.


Verso gli otto anni, anche per me arrivò l'esperienza di servire alla messa, ( "fare il chierichetto" in quegli anni era per un bambino  praticamente l'unica possibilità di disporre di qualche lira regalata dal prete)  e , quell'anno, ebbi poi la fortuna di partecipare al congresso  dei chierichetti.


Questo era un avvenimento importante per i ragazzini : era l'occasione rara di  una gita turistica e di visitare qualche paese sconosciuto, una scoperta del mondo.





A quel tempo per i bambini il mondo conosciuto era solo il paese e la cittadina nel fondovalle a pochi km di distanza, il maestro  a scuola ci narrava l'aneddoto di una vecchietta che nel periodo fra le due guerre mondiali, portava il nipotino sui prati vicino alla chiesa, situata su un pianoro da dove si domina tutta la vallata per una decina di km , una chiostra poi rinchiusa da  alte montagne e questa vecchietta diceva al nipotino: "Pòpo! (pòpo=vezzeggiativo dialettale che significa  piccolo), guarda com'è grande il mondo e poi dicono che ce n'è ancora dall'altra parte!"; pochi anni dopo il "pòpo"avrebbe scoperto che il mondo era incredibilmente  più vasto, ma per un emigrante quel mondo avrebbe comportato lavoro, fatica, umiliazioni, stenti e anche fame e poi tanta nostalgia;


molti anni dopo il lavoro avrebbe però portato anche il benessere, ma quei valori che conosceva guardando la vallata con la nonna, sarebbero stati fagocitati da nuovi modelli di vita e magari avrebbe pure dimenticato le umiliazioni e le sofferenze subite nella ricerca di condizioni di vita migliori in giro per il mondo, aderendo poi magari a qualche movimento xenofobo che urla :" Paroni a casa nostra!"



Terminata questa divagazione, un po' moralistica, riprendo il racconto del congresso.


Normalmente a capo del gruppo dei chierichetti c'era un prete che per quel giorno si dedicava  ai ragazzi, ma nell'anno in cui partecipai io ,il congresso si svolgeva in un paese dall'altra parte della montagna a poco più di quindici km; il parroco era troppo anziano per poterci accompagnare, così ci regalò cento lire a testa per le spese e tante raccomandazioni.


Era l'inizio dell'estate e ricordo che quando arrivò il Pieretto a chiamarmi per la partenza era ancora notte fonda, sicuramente prima delle quattro di mattina, poi andammo a chiamare il Mario che abitava vicino a casa mia e lo dovemmo attendere in cucina mentre la zia gli preparava lo zabaione, ( poi lo pigliammo in giro molti anni per quell'ovetto sbattuto), indi proseguimmo per il paese raccogliendo man mano gli altri ragazzi.




Alla fine del paese il sole era già alto e la comitiva di chierichetti era al completo , io credo di essere stato il più giovane della brigata di sette otto ragazzini.


Per raggiungere la parrocchia del congresso, c'erano ancora una decina di km da percorrere  tutti in uno stupendo bosco a predominanza di faggi








, non c'era traffico sulla strada provinciale, salvo un paio di ansimanti corriere che portavano altri chierichetti da parrocchie lontane, ma quando sentivamo l'arrivo di qualche mezzo, era nostra preoccupazione nasconderci nel bosco per evitare di finire sotto la diretta sorveglianza di qualche prete, la stessa cosa quando alle nostre spalle sentimmo un allegro vociare di ragazzi, intuimmo fossero quelli di una parrocchia intermedia, allora immediato occultamento tra i faggi







mentre il gruppetto passava col parroco in testa.


A metà mattina, sosta per mangiare il panino che ci eravamo portati da casa, Italo che era uno dei più grandicelli aveva investito parte delle sue cento lire in una scatola di zolfanelli e cinque sigarette marca Alfa che a quei tempi venivano vendute pure sciolte in bustine di carta velina, dopo un paio di boccate, cominciò a tossire e cominciò a mancargli il fiato, allora grandi pacche sulla schiena, qualcuno gli spruzzò in faccia l'acqua gelida di un ruscello che scorreva li vicino, finché la situazione si normalizzò e proseguimmo il cammino fra scherzi , risate e qualche bisticcio.


Quando arrivammo alla meta, era ormai tarda mattinata, i chierichetti erano in chiesa per la messa, momento saliente della giornata e noi, anziché infilarci subito in chiesa, ne approfittammo per girare il paese.


Il paese era perfino fornito di un'edicola e in quell'occasione spesi buona parte del mio capitale per comperare un album di Disney con avventure di Pinocchio ( era uscito in quel periodo il film Pinocchio a cartoni animati), poi un altro album dove feci conoscenza per la prima volta di un altro personaggio dei fumetti: Nembo Kid, come si chiamava ancora  Superman, ma il Pinocchio mi piaceva molto di più e quell'album lo conservai ancora per molti anni.


Alla fine della messa ci mescolammo fra gli altri ragazzi, ci venne offerto il pranzo e dopo il pranzo  un'oretta di giochi, in seguito il programma prevedeva un'assemblea 


( credo alla presenza del vescovo), il Vespero ed il commiato, ma finita l'ora dei giochi, adducendo la scusa della lunga strada per ritornare a casa, salutammo il parroco ospite e poi via di ritorno.


La strada seguita per il ritorno prevedeva di salire in alto fino ad una forcella e ritornare lungo una mulattiera, anche quella in mezzo ai faggi.


Anche quel tragitto fu un'avventura fra giochi e scoperte di nuovi paesaggi in una natura rigogliosa e stupenda, così quando giungemmo al paese, c'erano già le lucciole fra il profumo unico dell'erba appena tagliata.

Col passare degli anni,  il fervore ecclesiastico mi abbandonò, perché la mia grande passione per la lettura, mi portò a scoprire altri orizzonti; un peso particolare   l'ebbe il filosofo Bertrand Russel e così trovai altre strade, ma ricordo ancora quell'esperienza del congresso dei chierichetti come la prima giornata di tutta la mia vita nella quale assaporai  il gusto della totale indipendenza e della libertà, fra un gruppo di amici, molti dei quali da tanto tempo non ci sono ormai più, per molti di loro la vita non è stata benigna, però in quella giornata indimenticabile, abbiamo conosciuto la felicità.








lunedì 2 aprile 2012

scolaro



 Ripropongo un post di qualche tempo fa.


Ho frequentato le scuole elementari in un paesino della montagna veneta.
Il ricordo dei primi due anni di frequentazione è abbastanza labile, (gli anni incidono la memoria), la maestra la ricordo come una persona anziana, un po' altera e severa che non disdegnava di darci qualche botta sulle dita col righello.
Il primo giorno di scuola mi è rimasto abbastanza impresso, perché una bimba, forse intimidita dall'ambiente nuovo e severo, si era fatta la pipì addosso e a causa di questo episodio è stata oggetto per molti anni delle nostre prese in giro.
L'aula era vasta, ma forse le proporzioni variavano rispetto la nostra statura; il riscaldamento era fornito da una stufa di mattoni e per la legna, come ho già scritto in un altro post, a primavera tutti i genitori degli scolari dovevano recarsi nel lotto assegnato dalla guardia comunale, tagliare la legna, normalmente rami di larice e portarla alla scuola coadiuvati dai bambini.

Questo era un servizio prestato gratuitamente alla collettività ed aveva anche una valenza pedagogica, poiché già all'età di sei anni, capivamo la necessità di lavorare per il bene comune, era un principio di solidarietà che poi si è perso negli anni successivi quando sopraggiunsero gli anni del boom economico.
In terza elementare cambiai la maestra, anche questa era anziana tanto che agli inizi della carriera scolastica era stata anche l'insegnante di mio zio che ora sarebbe quasi centenario.
Questa maestra stravedeva nei miei confronti, raccontando in più occasioni che ero stato il più intelligente che aveva avuto come allievo nella sua carriera, non vedo i motivi di questa considerazione, a parte un tema lunghissimo di una ventina di pagine, per il resto sono sempre stato nella media e anche con una resa bassa.
Forse l'episodio che l'aveva colpita particolarmente, è riferito ad una poesia intitolata: "la fragola", ignoro il nome dell'autore, ricordo un verso che faceva riferimento ai "colli pistoiesi", la maestra voleva che si sostituisse il termine "pistoiesi" con un termine più attinente ai nostri luoghi e che conservasse la rima, mentre tutta la classe ponzava, a me era venuta immediatamente la sostituzione di "pistoiesi" con "bellunesi", ma mi sembrava troppo facile e poi volevo comprendesse tutte le Alpi e trasformai "pistoiesi" in "alpinesi" anche se sapevo che non era corretto, ma l'insegnante non fu di questo parere e fu così che probabilmente raggiunsi alti picchi, immeritati, nella sua considerazione.
Il maestro di IV e poi di V era un personaggio particolare, lo ricordo con i baffetti e la capigliatura alla Hitler, magro, zoppo causa poliomielite e costretto ad appoggiarsi ad un bastone che mai usò come minaccia nei nostri confronti, anche se qualche volta l'avremmo meritato.
La malattia avuta da bambino, probabilmente fu per lui una fortuna, perché ebbe l'occasione di studiare e poi la garanzia di un posto di lavoro di gran prestigio come insegnante, mentre il futuro di tutti i suoi coetanei era molto più duro, già all'età di otto anni erano costretti a partire a primavera per lavorare come seggiolai ambulanti, dormire su di un carretto nella paglia, solo quando erano fortunati, trovavano qualche anima buona che consentiva loro di dormire nei fienili e poi umiliazioni, fame, nostalgia, però sempre di grande dignità ed onestà nonostante la miseria.
Di queste persone, penso che troverò modo di scrivere.
Ritornando al maestro direi che era un grande affabulatore, anche se qualche caduta culturale si verificava ad esempio le piramidi d'Egitto secondo lui erano: di Cheope, di Chefrem e di Chisimaio, solo anni dopo ho scoperto che Kisimajo non era il nome di una piramide, ma era una città della Somalia, invece la piramide era di Mikerinos e l'altra di Kefren e non di Chefrem, ma la parola del maestro a quei tempi era verità assoluta.


Il suo pezzo forte era il racconto dei "Miserabili" di Victor Hugo, anche se spesso non ricordava più il nome del protagonista e allora gli dava un nome di fantasia.
In rare occasioni, arrivava a scuola dopo qualche bicchiere di troppo, e quel giorno era una tragedia, seduto impalato sulla sedia, non proferiva parola e non ammetteva che da parte nostra ci fosse il minimo rumore, ogni tanto qualcuno si metteva a ridacchiare allora smorzava il malcapitato con un perentorio : "giovanotto!" oppure "signorina!" e poi silenzio assoluto.
Negli altri giorni , invece , ogni tanto interrompeva lo studio per raccontarci le sue avventure giovanili, in particolare le montagne che ci circondavano erano state traforate durante le due guerre con gallerie scavate a difesa di eventuali invasioni nemiche, ( poi quando nel 1917 veramente accade, non servirono a niente e nemmeno quelle scavate dai tedeschi nella seconda guerra).
La seconda guerra mondiale era terminata da pochi anni ai tempi della nostra frequentazione scolastica ed era ancora viva nei ricordi di coloro che avevano qualche anno più di noi.
In queste gallerie, secondo il racconto del maestro, si trovavano ancora dei grossi depositi di armi e materiale bellico; e sempre secondo il suo racconto, alcune di queste gallerie erano allagate ed il maestro le esplorava a cavalcioni di tronco d'albero, nel buio assoluto rotto al massimo da una candela o un ramo resinoso acceso , mentre lui in questo labirinto si muoveva come nel cortile di casa sua con indomito coraggio, mai abbiamo pensato che con la sua infermità non era in grado nemmeno di salire il campanile della chiesa, ma chi poteva dubitare della parola del maestro?
Queste gallerie le ho esplorate in questi ultimi tre anni con un gruppo di amici con i quali è in corso una ricerca storica e non abbiamo mai dovuto cavalcare tronchi per attraversare tratti allagati, ma c'erano tante curve e tante scalinate, qualche rarissima voragine e molte dolorose zuccate contro le rocce, certo non usavamo candele e nemmeno torce a resina, in ogni caso in molti punti ci sono delle correnti d'aria così forti che non consentirebbero candele accese.
Di quelli anni di scuola ricordo bene, la camicia di cotone nero con l'indicazione della classe frequentata scritta in numeri romani con delle fettuccine bianche cucite sulla manica sinistra come i gradi dei militari,

 ricordo i banchi di legno a due posti, con i calamai per l'inchiostro e gli intagli di molte annate di scolari a cui contribuimmo anche noi, di nascosto, usando i temperini.
L'odore dei libri nuovi, i quaderni con le copertine nere e le tabelline sulla penultima pagina, lo stridere del gesso sulla lavagna, le macchie d'inchiostro e i pennini che avevano la cattiva abitudine di "sforcellarsi" si diceva in dialetto, cioè divaricarsi e scrivere male, la carta assorbente, poi il formaggio giallo della refezione tolto da barattoli con la scritta: "Dono del Popolo Americano degli Stati Uniti", le cartelle erano costituite da una scatola di cartone robusto di colore tra il giallastro e il mattone, munite di due cerniera per aprire la parte superiore da cui si estraevano i quaderni ed i libri, una cinghia per portarle a tracolla e in un triangolo la scritta "pura fibra" e le liti furibonde con i compagni per rivendicare di possedere la cartella di miglior qualità: "perché la mia è pura fibra" si diceva, invece erano tutte uguali, nuove all'inizio dell'anno e poi alla prima neve servivano egregiamente da surrogato allo slittino, anche se si sfasciavano presto e poi a casa sberle!
Qualche famiglia non poteva permettersi neppure la cartella di cartone e in tal caso, veniva sostituita da una borsa di stoffa con tracolla, cucita dalla madre, recuperando, normalmente, il fustagno di un paio di pantaloni vecchi e sbrindellati.
Ricordo gli sguardi furtivi dalle finestre, quando alla fine di novembre i prati erano imbiancati dalla prima neve e si pregustavano le uscite pomeridiane con la slitta, le prime discese folli dai pendii innevati, le prime di una lunga stagione invernale quando la neve cadeva in abbondanza.
Alla fine di tutta la storia, credo che la formazione scolastica, sia stata buona
e ci sia servita da trampolino per un futuro migliore di quello che era toccato ai nostri genitori.