domenica 22 gennaio 2012

Passeggiata notturna nel bosco



L'invito era stato una sorpresa: Vieni a fare una ciaspolada in notturna?
e  il percorso della ciaspolada era nel paese della mia giovinezza,  il percorso si svolgeva lungo una strada che si snoda interamente nel bosco, senza nessuna abitazione per un tratto di circa 4 km, una strada che nel periodo invernale non viene aperta al traffico.
Delle ciaspole, ( racchette da neve), non vi era necessità poiché l'altezza della neve era di due-tre cm. erano ampiamente sufficienti gli scarponi; così un centinaio di persone partirono nell'oscurità della notte giovane.
Subito ci addentrammo nel bosco fra l'eccitazione dei bimbi e le chiacchiere degli adulti, per un tratto rimasi assieme a degli amici, poi cominciai a sfilarmi per avere il piacere di restare da solo, ( ma, purtroppo,  anche a causa della fatica).
Dopo un tratto pianeggiante, la strada , che ben conoscevo, cominciò a risalire e bisognava prestare attenzione alle lastre di ghiaccio nascoste sotto il leggero strato di neve gelata.
Al termine della prima salita un lampeggiare di fiamme

tra gli alberi indicava il primo posto di ristoro, si sentivano echeggiare delle risate di bimbi e arrivato sul posto, vidi che il motivo dell'eccitazione: si trattava del Matharol, un folletto dei boschi vestito di rosso e dispettoso che faceva divertire i bimbi



  Altro tratto in salita e dopo una ventina di minuti al culmine della strada, a metà del percorso, altro punto di ristoro dove servivano dell'ottimo vin brulè che gustai con vero piacere, da lì incominciava il tratto in discesa verso il punto d'arrivo, ma ormai avevo deciso che sarei ritornato alla partenza, il fascino di ritornare da solo, in compagnia dei miei ricordi era troppo stimolante, così una telefonata all'amico per avvisarlo che l'aspettavo alla partenza , ( per il ritorno dalla ciaspolada era previsto il servizio di navetta lungo un'altra strada).
Così mi allontanai nel buio dal posto di ristoro, in breve il silenzio fu totale, rotto dal frusciare delle scarpe nella crosta di neve e dal tonfo ritmico del bastone che usavo come sostentamento.

Ero dotato di torcia elettrica che ogni tanto sciabolavo tra i tronchi degli abeti per cogliere il riflesso di qualche animale selvatico, ma non ebbi questa fortuna, poi dovevo aspettare qualche istante perché gli occhi si riabituassero al buio.


 La notte era senza luna, ( anche se sul manifesto era scritto; ciaspolada nel bosco al chiaro di luna, ma a due giorni dal novilunio avere il chiaro di luna è molto, molto difficile), però avanti a me, lungo la strada, in direzione sud, nella porzione di cielo  libera da alberi vedevo stagliarsi la splendida "Cintura di Orione" e un cielo molto luminoso nonostante la mancanza di luna, il biancore della neve sulla strada mi indicava la direzione, nel bosco buio, ampi spiazzi erano privi di neve fermata in alto dai rami e poi sciolta durante il giorno, fra i rami qualche bagliore di stelle e, a volte le luci intermittenti di qualche aereo o di qualche satellite artificiale.
Tendevo le orecchie per cogliere qualche fruscio, ma aldilà del rumore dei miei passi, solo il latrato di qualche cane nei villaggi lontani, il gorgogliare dell'acqua

che scorreva sotto le lastre di ghiaccio dei frequenti torrenti e l'acqua di qualche fontanella scavata in un tronco di abete, 

poi con rammarico mi ritrovai  troppo velocemente al punto di partenza e come se avessimo coordinato l'appuntamento giunse subito la navetta col mio amico
Certo che questa passeggiata notturna nei boschi era molto diversa da quelle della mia giovinezza, allora le torce elettriche erano troppo costose per averne a disposizione, il telefono cellulare era solo fantascienza, così come era fantascienza pensar di disporre di un servizio navetta, però anche questa è stata molto divertente e da conservare nello sgangherato baule dei miei. ricordi

domenica 15 gennaio 2012

Il cinema Z******

 Ancora una riproposizione:




 il carro-abitazione del sig, Z.
Nei paesi di montagna non erano molti i diversivi che rompevano la monotonia del tran tran quotidiano.


Nei miei ricordi c'è stato un circo molti anni fa e fece scalpore un episodio, il circo era un minicirco a conduzione familiare , forse c'erano un paio di scimmie e un serpente, probabilmente un pitone che in quella trasferta, ebbe la malaugurata idea di morire di freddo e ancora molti anni dopo si rammentava questo episodio.


Ricordo anche una serata di teatro con una compagnia di guitti e poco altro, anche perchè di soldi ne circolavano veramente pochi in quegli anni di ricostruzione dopo la guerra.


Un momento importante fu quando arrivò il cinema.


Era una struttura di lamiera con un telone per copertura e quando pioveva bisognava aprire gli ombrelli per ripararsi, le panche erano di legno e prima di sedersi bisognava fare attenzione che le galline allevate dal proprietario del cinema non avessero lasciato qualche ricordino sulle panche.


La pellicole proiettate erano degli anni trenta; il cinema Z*** venne in paese due volte nel periodo primavera- estate a metà degli anni cinquanta, le pellicole erano sempre le stesse, i titoli famosi erano: "Scarpe al sole", un film sulla prima guerra mondiale girato nelle nostre zone, poi" santa Genoveffa" e "Cielo sulla palude"
un film su santa Maria Goretti che in quegli anni venne santificata da Pio XII°, per adulti era il film "La mummia" con Boris Karloff,


la cui visione era interdetta ai bambini, perché ritenuta troppo terrificante, però ricordo che dopo aver assistito alla proiezione, anche qualche adulto ammetteva di aver avuto paura a ritornare a casa, ( in quegli anni non c'era illuminazione nel paese).




Quando veniva proiettato qualche film edificante tipo "santa Genoveffa" o "Cielo sulla palude", il signor Z*** lo riferiva al vecchio parroco , il quale, durante la predica domenicale, lo comunicava ai fedeli.


La capienza del capannone credo fosse sul centinaio di persone: ricordo che il biglietto d'ingresso costava trenta lire , che difficilmente noi bambini avevamo.


Durante la proiezione, frequenti erano le interruzioni causate dalla rottura della pellicola, tutti i film erano in bianco e nero.


Alla fine del film principale, il signor Z*** entrava nel cinema, saliva in piedi su una panca delle prime file e rivolto al pubblico magnificava le trama del prossimo film che avrebbe proiettato, anche se tutti la conoscevano per aver già visto il film almeno due volte.


Mi sembra ancora di averlo davanti agli occhi il signor Z***, era bene in carne e portava i pantaloni sostenuti dalle bretelle, i pantaloni gli arrivavano al petto e dietro avevano un intaglio a V.


Quando aveva finito la presentazione concludeva declamando: " seguirà ora una camica di Ridolini" e la "camica" era la parte più interessante per i ragazzi.


Il signor Z*** era molto ingegnoso, ricordo che costruiva artigianalmente delle macchinette dove introducendo dieci lire e girando una manovella si poteva vedere qualche secondo di proiezione e con qualche diva dell'epoca un po' discinta, credo che questa sua abilità fosse un dono di famiglia , poiché ai nostri giorni i familiari producono e vendono attrazioni per luna park a livello mondiale.


Mi è rimasto un bellissimo ricordo del cinema Z******, che in quegli anni di povertà, ci ha regalato dei momenti felici.

venerdì 6 gennaio 2012

Boschi, fatiche e leggende


Fino alla metà del secolo scorso, buona parte dell'economia delle famiglie del mio paese, derivava dalle mucche che fornivano latte, formaggio, burro e carne.
Durante l' inverno, le mucche stavano nelle stalle situate di norma accanto alle abitazioni e venivano alimentate col fieno ricavato durante le stagione estiva.
Ogni metro quadro di prato era falciato fino a ore di distanza dalle abitazioni.
Durante il periodo che andava dalla metà di giugno alla metà di settembre, le vacche venivano mandate a monticare nelle malghe in alto sulle montagne, ma nel tal caso, alle famiglie proprietarie di bovini, veniva a mancare il latte con i suoi sottoprodotti e si trattava di una grossa perdita economica nelle famiglie che non navigavano nell' abbondanza, allora per sopperire alla malga, utilizzavano delle stalle chiamate "casei" disseminate nelle radure dei boschi.

Il "casel" era una rudimentale costruzione di un vano costruita su una base quadra di un muro di sassi non legati da malta che fungeva da stalla, mentre la parte superiore in tronchi ed assi con il tetto di scandole, era il fienile.
Attorno al "casel" un prato.
Quando la stalla era di due vani, si chiamava "casera" ed il secondo vano era fornito di focolare e tavolo, sopra il fienile era più spazioso e ci stava pure un letto con il materasso imbottito di fieno oppure delle foglie secche che avvolgevano le pannocchie di granoturco chiamate "foiole".
La casera veniva usata come abitazione per accudire le vacche, durante la fienagione, oppure quando si tagliava la legna nei boschi vicini.
La mattina all'alba, bisognava mungere le mucche, poi venivano affidate ai ragazzi dai dieci ai quattordici anni che le portavano a pascolare nelle radure fra i boschi,
mentre gli adulti provvedevano al taglio del fieno attorno alla casera.
A sera rientrava il bestiame per la seconda mungitura, i ragazzi e gli adulti ritornavano in paese e nelle casera rimaneva a dormire qualcuno, di solito una donna, che la mattina all'alba, provvedeva alle incombenze della mungitura.
Le casere non erano fornite di corrente elettrica, per l'illuminazione si sopperiva con candele, (molto pericolose a causa del legno e del fieno presenti in abbondanza), lampade a petrolio oppure ad acetilene, molto più sicure delle candele, perché la fiamma era protetta e la base di appoggio più stabile.
La donna che rimaneva nella casera, consumava una modesta cena, di solito una minestra, o una scodella di latte con una fetta di polenta fredda avanzata a mezzogiorno, poi le rimaneva qualche momento di riposo, da trascorrere con i suoi pensieri e una preghiera, seduta sulla panca all'esterno, assaporando gli odori intensi che impregnavano l'aria.
Odore caldo delle vacche, odore di fumo del ceppo che ardeva nel focolare, odore penetrante del fieno in fermentazione, odore della terra del vicino bosco odore, della resina delle piante, odore di fatiche, mentre il profilo delle montagne di fronte, si perdeva nel blu cobalto del cielo.
Arrivava presto il momento di sdraiarsi sul letto nel buio e nell'assenza dei rumori tipici di una casa.
Spesso il riposo era agitato dai ricordi di tutti i racconti che fin dall' infanzia si erano sentiti ripetute volte, racconti che parlavano di streghe, di folletti, di dannati, di spiriti.
Allora il silenzio che sembrava totale, si animava di rumori, lo schiocco di un ramo secco che si spezzava, il tonfo di un ramo che cadeva al suolo, lo scricchiolio delle piante sotto la torsione di un refolo di vento o il sibilare del vento che si infilava fra le fessure, oppure qualche animale.
Ricordo il racconto di una mia prozia che era rimasta sconvolta dalla "catha salvarega", letteralmente la caccia selvaggia, si narrava delle anime dannate dei cacciatori che la domenica, anziché andare alla messa, andavano a caccia, poi venivano condannati ad essere perennemente inseguiti per i boschi da una muta di cani inferociti che latravano ed abbaiavano e ringhiavano, la zia Marietta era rimasta terrorizzata, anche se una volta mi aveva confessato che forse si trattava di volpi innamorate e quella era sicuramente la realtà.
Poi c'era il "Matharol" un folletto vestito di rosso che girava incessantemente per i boschi ed era molto dispettoso nei confronti degli uomini.
Si diceva che il "Matharol" rapiva i bimbi, li portava nel bosco, li rimpinzava di frutti di bosco, di polenta intinta nel latte oppure di croste di polenta, poi, dopo un paio di giorni i bambini erano rimandati a casa.
Bisognava stare molto attenti nei boschi, perché mettere un piede sull'impronta del "Matharol" significava perdere la cognizione del tempo e dello spazio; quando qualcuno nella vita era molto sfortunato, si diceva. " el à balegà sulla peca del Matharol", cioè: ha calpestato l' impronta del Matharol, e da qui la sfortuna l'avrebbe perseguitato per sempre.
Il Matharol faceva poi altri dispetti, come mungere la mucche di nascosto, poi la mattina non davano più latte, oppure era malizioso con le ragazze, si trasformava in un gomitolo di lana pregiata, la fanciulla che lo trovava lo poneva nell' ampia camicia allora il Matharol saltava dalla scollatura canzonando la fanciulla: "Ti ho toccato le tettine, ti ho toccato le tettine..."
Un altro personaggio che girava per i boschi, era " el om salvarech"


l'uomo selvatico, questo cercava di evitare gli uomini, era vestito di licopodio, una specie di muschio , però si narra che una volta durante un furioso temporale si riparò in una casera e vedendo che mungendo le vacche, non riuscivano a togliere le impurità che cadevano nel latte, così per riconoscenza insegnò agli uomini primitivi a filtrare il latte usando un filtro della particolare erba di cui era vestito.
Ancora ai nostri giorni, si usa ricordare " el om salvarech", con una persona vestita di licopodio , con una pianta di betulla per bastone.





Un pericolo, ma solo per gli uomini era il "Martorel", una specie di lupo che di notte aggrediva gli uomini e li rapinava, così quando l' uomo arrivava a casa sconvolto e senza soldi, con la scusa di aver incontrato "il Martorel" giustificava il fatto di aver scialato i pochi soldi in bicchieri di vino all' osteria, però provvidenziale questo Martorel, arrivava sempre nel momento giusto!
C' erano poi la streghe che di notte ballavano nelle radure e se qualche malcapitato le scorgeva, poi lo rapivano e non tornava più, si racconta di un boscaiolo che dopo aver assistito ad una danza delle streghe, era stato scorto da una strega bellissima che voleva portarlo via, ma il boscaiolo furbo, le disse; Vengo volentieri con te, ma prima devo finire di aprire questo tronco, se mi aiuti, facciamo presto, tu devi mettere le mani nella fessura e divaricare mentre io metto un altro cuneo.
La strega prontamente mise le mani nella fessura, allora il boscaiolo con un colpo bene assestato fece volare il cuneo che teneva aperto il tronco, la fessura si richiuse imprigionando dolorosamente le mani della strega che urlando dal dolore si trasformò in una vecchia laida, però il boscaiolo riuscì a scappare scendendo a valle e mettendosi in salvo.
Poi c' erano molti altri racconti, anche molto macabri che tornavano alla memoria e nella solitudine della casera il sonno si popolava di incubi, fortuna che le notti estive erano molto corte ed in breve ritornava la luce e le vacche cominciavano a muggire perché era già l' ora della mungitura.

domenica 1 gennaio 2012

un ricordo

 Riproposizione di una storia di miseria veramente accaduta:
 
 


Questa è una storia un po' cruda, ma quanto descritto, purtroppo, è veramente successo nella prima metà degli anni 50.



Un mio amico e coetaneo, all'età di circa sei anni, durante l'estate, si trovava con i familiari per la fienagione in una radura spersa fra i boschi; la fatalità volle che il poveretto fosse punto da una vespa o un calabrone sul glande del pisellino e tale puntura, gli provocò la chiusura del canale uretrale.



Il piccino non venne portato dal medico, quasi sicuramente a causa della mancanza di denaro per pagare il professionista, ma da una signora che risolse il problema con un ago arroventato, praticando un forellino a fianco dell'ostruzione.

foto del mio amico nel giorno della prima comunione circa all'epoca del fatto narrato


Fu così che, da allora, il fanciullo per l'operazione di liberare la vescica impiegava una decina di minuti .



Abitavamo in un paese di alta montagna e in quegli anni la neve ci visitava abbondantemente e  frequentemente; il mio amico era il primo che andava alla messa mattutina e le tracce del suo passaggio spiccavano sulla neve fresca in una lunga e sottile linea gialla in quelle ore antelucane nel paese deserto e addormentato con una misera lampadina dalla luce molto fioca ogni cinquantina metri per l'illuminazione, poi col passare degli anni, le tracce sulla neve, non portavano più verso la chiesa, ma si perdevano nei dintorni delle osterie, dove lui annegava la solitudine, infine un quarto di secolo or sono, la cirrosi gli regalò la pace.



Ora, quando ritorno al paese, passo a fare il giro del cimitero per un ricordo e un pensiero ai molti che mi hanno preceduto e ogni volta rivedo il sorriso, un po' triste, del mio sfortunato amico.



Ancora non riesco a capacitarmi di quanto fosse dura la vita in montagna e come imperasse la miseria fino agli anni sessanta, quando, finalmente, con il boom economico il benessere arrivò anche lassù.